Le critiche feroci di The Economist al CentroDestra italiano Economist liberal e progressista Le
critiche feroci di The Economist al CentroDestra italiano? Non sono
nuove, non sono “da Destra” sia pur moderata, neppure “liberali”
come si sono affrettati a dire in molti. Infatti un pezzo di The
Economist ripreso sul n°5 del 4 febbraio 1999 de L’Espresso,
che criticava tutte le
forze "di Destra" europee (ma sarebbe meglio dire "non di
Sinistra") rendeva bene l’idea
e fornisce utili elementi per comprendere quel che ha scritto di molto
simile, a 2 anni di distanza. Si confondevano le varie democrazie
cristiane o partiti popolari, i liberali, i conservatori, si
demonizzavano le posizioni "nazionali" guarda caso sulle
questioni economico-finanziarie…, si sorvolava
sull’Irlanda, sui successi e sul dinamismo economico del
governo di Destra cattolica, si liquidavano Berlusconi e Fini con
espressioni stile "Unità" (d’altronde un’inviata a
Roma - e parente di uno dei proprietari del settimanale - non è forse
stata eletta coi Democratici di Sinistra nel 1996?), si denigrava
Formigoni presidente della giunta lombarda perché "troppo
cattolico" tanto che apoditticamente si affermava:“…Non
raccoglierebbe facilmente consensi a Francoforte o a Londra…”(!).
Come se non contassero nulla le differenze territoriali e fingendo anche
di dimenticare cos’è la CSU (Unione Cristiano Sociale) in Baviera,
cattolica e molto "a Destra" nel panorama politico tedesco,
eppur sempre vittoriosa. Ma la faziosità dell’Economist svela
l’inganno della vulgata "liberal e liberaldemocratica" oggi
tanto di moda. Liberal nella cultura anglosassone (Gran Bretagna,
Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Scandinavia, nei
mass-media globallizzati) indica senza equivoci tendenze: progressiste,
radical chic, antireligiose, contro il diritto naturale nelle "moral
issues" (famiglia, aborto, eutanasia, droga, bioetica,
omosessualità), sempre a Sinistra nelle scelte partitiche. Però
ultraliberiste in economia (così, coi fautori della speculazione
finanziaria l’accordo è totale). Posizioni in sostanza simili a
quelle propagandate da George Soros, noto speculatore sui mercati
finanziari, che ha fondato l’Open Society ed il Lindesmith Center per
sostenere, ad esempio, la liberalizzazione delle droghe, col sostegno
negli Usa di intellettuali libertari e monetaristi. Sarà un caso ma
anche The Economist è favorevole alla “droga libera”. Chissà se
questo c’entri col desiderio delle grandi banche internazionali
(soprattutto anglosassoni) di far circolare “liberamente”, ed al
riparo da polizie e magistrature, gli incalcolabili miliardi di dollari
prodotti dal narcotraffico? Quanto ai Liberaldemocratici: in nessuna
parte del mondo sono "di Destra", o stanno "a
Destra". Nella cultura anglosassone si parla di "conservatives",
"right wing", magari di "populisti" o
"liberali" per definire posizioni di “Destra” e basterebbe
il lampante caso della Gran Bretagna, col partito Liberaldemocratico,
formato dal vecchio Partito Liberale e dalle tendenze socialdemocratiche
uscite dal Labour Party negli anni 1970-1980 a causa del predominio
marxistico filosovietico al suo interno. Ovviamente, non hanno nulla a
che fare con posizioni "di Destra" rappresentate dal Conservative
Party. Anche nel Parlamento europeo il gruppo "Liberaldemocratici
e riformisti" – a cui aderisce Rutelli- è separato dalle Destre
presenti nel Partito Popolare (Conservatori inglesi e neogollisti di
Chirac) e dall’UEN, Unione per l’Europa delle Nazioni, dei
neogollisti “souvranistes” e dei cattolici “vandeani” francesi,
dei Fianna Fail irlandesi, cattolico-nazionalisti al governo, del CDS-PP
portoghese, del Partito del Popolo danese, dei greci e di AN. Se
passiamo alle ex-dittature comunistiche, incontriamo cristiani o
liberali nazionali, nazionalcontadini, piccoli proprietari; perchè i
"liberaldemocratici" – se sono presenti – si dislocano più
a sinistra proprio in conseguenza delle "moral issues",
come conferma, all’interno dell’Europa occidentale, il caso olandese
(la coalizione fra liberal e socialisti è arrivata a consentire
l’eliminazione di anziani e malati tramite eutanasia). Una specie di
radicali pannelliani insomma, come è logico date le comuni
origini dal filone di sinistra del liberalismo, quello "filogiacobino"
per intenderci a cui si oppose, proprio all’inizio della Rivoluzione
in Francia, il pensatore e politico anglo-irlandese Edmund Burke. Queste
sono le evidenti radici ideologiche dell’Economist; possono anche
piacere a molti, ma non se ne faccia l’oracolo di Delfi postmoderno o,
peggio, il “giudice
supremo” del pensiero politico dei liberi cittadini europei. Articolo uscito su
Il
Quotidiano della Calabria
anno V n° 119 pagina 4 |