Il trionfo del Signore degli Anelli

Al cinema e in libreria spopola la trilogia di Tolkien

Che dire di una pellicola “a lungo attesa” proprio come la “festa” del 1° capitolo del 1° libro della 1ª parte La Compagnia dell’Anello, de Il Signore degli Anelli? Blockbuster e nomination a parte, non ha deluso le aspettative degli esigenti “custodi” del mito formatosi intorno ad un “mondo”, ad una storia “parallela” a quella conosciuta, all’intera saga epica, fantastica eppur così realistica, “sub creata” nell’arco di una vita (decenni 1910-1960) da uno dei maggiori eruditi del Novecento. JRR Tolkien appassionato di lingue e letterature antiche ha costruito un “universo parallelo” la Terra di Mezzo con le sue “Ere”, partendo dalla “creazione secondaria”, simile eppur diversa da quella biblica (ne Il Silmarillion), con una ricchezza di particolari incredibile fra lingue, mappe, genealogie, cicli storici, razze. Qual è la fonte di un successo “secolare”, dagli anni 1930, con oltre 100 milioni di copie vendute dei suoi spesso voluminosi libri? Cosa è stato “catturato” sullo schermo della “magia” del suo scrivere? Gli studios (coi pregiudizi ideologici del politically correct), non sono riuscito a “rinchiudere” Peter Jackson –neozelandese di scuola non “americanizzata”, che nel fisico appare un hobbit - e il film (nonostante il marketing asfissiante), ad epurare testo e immagini, sensibilità, idee e trasposizioni visive non conformiste rispetto alle tendenze radical chic predominanti. Alcuni lo hanno “stroncato”, intellettuali o esponenti del sinedrio dei critici progressisti, quasi sempre con argomentazioni pretestuose (oscuro, ripetitivo, la storia non ha un arco narrativo(!), opprimente). Chi invece legge e rilegge le vicende “senza tempo” perché sempre attuali, realistiche perché mettono sulla carta, ora in video, la vita vera degli uomini (quella quotidiana col lavoro, i sacrifici “normali”, quella “eroica” che irrompe all’improvviso ed obbliga tutti – noblesse oblige? – a fare delle scelte sempre difficili ma necessarie, le domande che l’uomo si è posto in ogni  tempo: perché si nasce e si muore? qual è e cos’è il destino?) di cui le trovate “magiche” non sono che un aspetto persino marginale, esce dalla sala appagato? Jackson si è difeso bene, si vede che è appassionato del testo, sottolinea certe cose piuttosto che altre, la sensibilità di ognuno è sollecitata ad interrogarsi. Ma il cinema è “altro” rispetto alla pagina scritta e statica, ha modificato i modi del “sentire e del vedere”, ha accordato il pensiero col movimento e la vita, ha tentato di colmare il vuoto post Rivoluzione Industriale fra Arte e tecnica. In buona parte Jackson riesce a far cogliere ed a cogliere egli stesso, il volto nascosto dell’esperienza filmica; quel non detto oltre il visibile, che (guarda caso) diventa “magia”, avvicina l’arte filmica al simbolico conquistando l’inconscio. Non sempre certo, in alcune parti può risultare “inferiore” non alle attese di un “tolkienomane”  - che magari vuole una didascalica (tipo taleb afghano), pietrificata aderenza allo scritto – ma di chi sperava in un film “epocale” e sganciato dall’insopportabile stile kolossal hollywoodiano. Ma nell’epoca post-moderna, dopo le rovine soprattutto spirituali e morali del Novecento, la degenerazione dell’immaginario collettivo, che si pretende? Jackson e molti degli attori che ha scelto (Ian Holm-Bilbo, Christopher Lee-Saruman, McKellen-Gandalf, Mortensen-Aragorn, Blanchett-Galadriel) sono “entrati” nel significato profondo del racconto, non hanno banalizzato la vicenda. Non è bene contro male e basta, non è heroic fantasy, non è fiaba o allegoria, anzi per niente, come per fortuna Tolkien ha scritto. C’è molto di più e nel film si vede e si sente. La bramosia del possesso è chiaramente bollata – l’Anello nato dal Male non può esser usato “per il Bene”: non è vero che il fine giustifica i mezzi -, l’alleanza di razze (elfi, nani, hobbit, uomini affiancati da animali “buoni” cavalli e aquile, persino alberi) rischia, si sacrifica per gettare l’oggetto potente, combatte per rimanere libera, perché l’esistenza è drammatica e non ci si può illudere di viverla nel buonismo irenista. La pietas profondamente cristiana emerge nel dialogo fra Gandalf e Frodo sulla mancata morte di Gollum: “chi sei tu per decidere chi deve vivere o morire?” La tentazione del potere assoluto prende un po’ tutti ma resistono riflettendo sulla corruzione (anche fisica, chi è tentato prende sembianze orride). L’incubo così attuale dell’ingegneria genetica è esplicitato. L’aspetto religioso è giustamente raccontato per simboli, icone, occorre esser allenati per distinguere ma si può fare. Affascina, coinvolge, rimanda ad “Altro” che dà significato all’esistenza e non sia consumo materiale ma  valori vissuti di un pensiero “forte e reale”: fedeltà, amicizia, generosità, coraggio. Addirittura invoglia a leggere  e di questi tempi…

Articolo uscito su Il Quotidiano della Calabria Pagina 15 “Cultura & Società”
 Anno 8 n° 55 Lunedì 25 febbraio 2002
con lo stesso titolo