Medioevo liberato dall'illuminismo

Sta per essere pubblicata la nuova edizione di un "classico" di Régine Pernoud curata da Marco Respinti. L'opera della medievista può configurarsi come "l'anti-Nome della rosa" di Eco.

Due anni fa, il 22 aprile del 1998, scompariva a Parigi, all'età di 89 anni, la grande medioevista francese Régine Pernoud. Ora, torna finalmente in libreria il suo Luce del Medioevo. Difficile trovare titolo di libro così evocativo, diretto, significativo del contenuto, "culturalmente scorretto" - per usare un'espressione in voga da alcuni anni -, ma che all'epoca in cui uscì (quantomeno in Italia, nel 1978) poteva ben esser definito "non conformista" e alternativo. Tutto è infatti già contenuto in quell'accostamento fra due termini che gli stereotipi vorrebbero invece in antitesi inconciliabile: "luce" e "Medioevo", dato che notoriamente, come si insegna persino negli asili nell'intero cosiddetto "Occidente", quella "di mezzo" è stata solo un'età "oscura", "tenebrosa" e colma di disperazione, di morti per fame e per peste, di biechi tiranni religiosi o laici poco importa, i quali passavano il tempo a bruciare eretici e donne (presunte streghe, in realtà proto-femministe secondo la vulgata decisa a posteriori), ad ingozzarsi di cacciagione ed accumulare oro, ignoranti e spregiatori del progresso della scienza, superstiziosi e creduloni. Ebbene, nel 1945 (!) in Francia, appare Lumière du Moyen Âge (come suona lo splendido titolo originale) in cui una caparbia studiosa, Régine Pernoud, con un linguaggio semplice, accessibile, con solide basi culturali e documentarie, smonta uno per uno tutti i luoghi comuni, le "leggende nere", incrostatesi nel corso degli ultimi secoli, su quei circa mille anni cruciali per la storia dell'umanità. Così disprezzati da non esser neppure definiti e aggettivati, come tutte le altre epoche (classicità greca, romanità, Umanesimo, Rinascimento), ma solo in quanto "Evo di mezzo" appunto fra antichità e modernità. Nel 1978 appare così in Italia - grazie alla disponibilità del piccolo ma coraggioso e generoso editore Giovanni Volpe (certo memore del rilievo che il padre, il grande storico Gioacchino, dava alle vicende medievali), sollecitato in ciò da Giovanni cantoni - un'edizione tradotta da Italo De Giorgi, con un'appassionata e approfondita presentazione dello specialista Marco Tangheroni, docente di Storia medioevale nelle Università di Sassari e di Pisa, nonché fecondo divulgatore di eventi storici. Oggi si ripubblica grazie a un altro medio-piccolo editore (e vorrà pur dire qualcosa quest'aspetto), Gribaudi, in una nuova edizione italiana accresciuta da una prefazione di Luigi Negri - docente di Antropologia filosofica all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano - e da un'appendice in cui trovano spazio due interviste italiane della Pernoud, originariamente comparse sul mensile Cristianità, diretto da Cantoni, nel 1998 e nel 1993, nonché la presentazione predisposta da Marco Tangheroni per l'edizione Volpe del 1978, che qui ha l'ambizione di porsi quale valutazione del significato globale dell'intera opera storiografica della storica francese. Le interviste riprese in questa nuova edizione della prima e più importante opera della Pernoud (è lei stessa ad affermarlo ed a buon diritto, se non altro perché tutto il suo corpus successivo è stato un approfondimento, una specificazione e in qualche modo pure una dimostrazione proprio di quel volume "pionieristico") - interviste che, per argomenti, contenuti e stile, si pongono esattamente nella medesima linea dei capitoli di cui si compone Luce del Medioevo -, vennero a suo tempo realizzate, la prima da Massimo Introvigne, dal 1988 direttore a Torino del CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni), e la seconda da Marco Respinti, saggista, giornalista ed in specifico, studioso del pensiero conservatore angloamericano. E proprio a cura di Respinti esce il nuovo Luce del Medioevo di Gribaudi (che peraltro riproduce, con qualche ritocco, la "vecchia" traduzione di De Giorgi), così come sempre per i tipi di Gribaudi, Respinti ha tradotto e curato, nel 1999, Testimoni della luce, l'ultima opera - uscita postuma e di carattere autobiografico - data alle stampe dalla medievista francese.

Luce del Medioevo verrà presentato ufficialmente al pubblico a Torino, in occasione dell'annuale "Fiera del Libro" che si svolgerà dal 10 al 15 maggio. Del successo che ebbe nel nostro Paese - relativo per numero di copie, ma cruciale per l'influsso su giovani idealisti cattolici e di Destra, nonché su cultori e docenti di Storia che ebbero finalmente a disposizione un testo rigoroso per confutare lo sciocchezzaio antimedioevale che egemonizzava scuole e università -, parliamo con il curatore Marco Respinti che per i nostri lettori non necessita certo di presentazioni.

Luce del Medioevo rappresentò un esempio positivo non solo di storiografia accademica bensì di divulgazione "di massa" e specialmente in ambienti studenteschi. Chi era giovanilmente insofferente ai testi imposti nelle scuole, già pesantemente egemonizzati dalle vulgate gramsciane, progressiste, positiviste e antireligiose, e per giunta scritti pure "male", trovò nella Pernoud un'oasi di chiarezza, si appassionò al suo argomentare ferrato ma scorrevole, serio e autorevole ma al contempo ironico e polemico quando necessario (il "Dizionarietto del Medioevo convenzionale" - che al termine del volume mette alla berlina un certo "Medioevo di cartapesta" - è, sotto questo punto di vista, un vero capolavoro)...

"Gli scritti di questa grande medioevista - tutti, ma in particolare questa sua opera prima - rappresentano uno degli esempi più belli e riusciti di quella "alta divulgazione" di cui molti autori francesi - o comunque francofoni - hanno fatto un'arte. Marco Tangheroni ha più volte pubblicamente rilevato come un certo mondo accademico italiano non possa nemmeno tollerare il suono di termini come "divulgazione" o di nomi quali "Régine Pernoud". Ma si tratta solo di snobismo parvenu, tipico peraltro di chi, impotente e incapace di fare altrettanto, sa solo replica con lo sdegno e l'invettiva. Costa fatica, cioè, essere rigorosi e seri nel corso dell'indagine e della ricostruzione scientifica, ivi compreso il necessario - e necessariamente duro - apprendistato che serve a impadronirsi dei "ferri del mestiere". Cosa fatica fare molta anticamera e magari non salire mai alle luci della ribalta. Costa fatica sospendere il giudizio quando non si hanno a disposizione elementi sufficienti a ben valutare. Costa fatica spiegare bene, con terminologia appropriata, fantasia, capacità d'intuizione, immaginazione e savoir faire a chi non è specialista. Costa fatica, e richiede coraggio e umiltà. Mai - evangelicamente - la Pernoud ha giudicato la propria profonda conoscenza della storia un bene prezioso da custodire gelosamente. Le pagine autobiografiche che ella ha consegnato alla memoria del futuro in opere quali Testimoni della luce o, più diffusamente, Villa Paradis: souvenirs (a cura di Jérôme Pernoud, Stock, Parigi 1992) documentano il coraggio e l'umiltà con cui questo vero e proprio "topo di biblioteca" ha documentato non tanto gli "splendori" quanto la realtà di un'epoca che ha tentato, molto semplicemente, di fare una cosa sola: prendere sul serio la fede cristiana e agire di conseguenza.

Régine Pernoud è davvero una maestra, ma nel senso più specifico del termine: ha insegnato un metodo, quello dell'aderenza totale alla realtà e - l'espressione compare in Luce del Medioevo - alla verità delle cose. Molti suoi colleghi medioevisti, pur blasonati dai nomi altisonanti, non sono capaci nemmeno di un briciolo di questa sua disarmante - giacché umile e pura - forza di ricerca e di comunicazione".

Fra l'altro Lumière du Moyen Âge -- in francese forse destò ancor più scalpore quell'accostamento ai "lumi" vero? --, si rivelò utilissimo, qualche anno dopo, nel controbattere quella che mons. Luigi Giussani definì "un'opera di propaganda anticristiana": il famigerato romanzo Il nome della rosa di Umberto Eco e l'ancor più deleterio film che ne trasse il regista Jean Jacques Annaud (forse neppure in URSS avrebbero fatto di peggio quanto a falsità storiche, approssimazioni nella ricostruzione di avvenimenti, pensiero e scenario medievali). È possibile definire l'opera della Pernoud "l'anti-Nome della rosa"?

"Certamente. E proprio per le ragioni che già ho cercato di evidenziare. Così come Il nome della rosa è, se si vuole, un "prodotto di scuola", un "manuale" che dietro l'artificio retorico della finzione romanzesca enuncia e sviluppa tesi ben precise, il corpus della Pernoud - gl'importantissimi studi sui santi, sulla condizione femminile, sulla nascita della borghesia, su santa Giovanna d'Arco e così via - non ha... alcunché da difendere... Ovvero, essa non è parto di un'idea preconcetta entro cui l'Autrice cerca poi di costringere la realtà, artatamente nascondendola quand'essa si mostrasse non pienamente rispondente allo schema astratto. In questo, costituisce una grande lezioni di anti-illuminismo, laddove l'opera di Eco - ma quella del semiologo è davvero forse la classica punta di un iceberg che cela un intero modo di fare ricerca, letteratura e insegnamento - appare proprio il frutto più maturo del philosophe da "società di pensiero". Un'ideologia autoreferenziale che, a onta del reale, propone un'interpretazione delle cose per tesi di cui è perso sin dal principio anche il gusto della dimostrazione. Non debbono ammaestrare e forse nemmeno convincere: esigono solo una sequela cieca. Nonostante i suoi paludamenti razionalistici da Shelock Holmes del passato, l'Eco de "Il nome della rosa" è il vate della nuova religione del (come sagacemente scriveva Eric Voegelin) "divieto di fare domande". La sua è la controverità basata sulla menzogna e sulla manipolazione della memoria storica prodotta dall'hybris dell'uomo moderno emancipato e assoluto (ab solutus) che domina ampi settori della scienza, della ricerca e dell'insegnamento. Sì, fra i due non ci potrebbe essere maggiore inconciliabilità nel modo di porsi davanti alle cose, agli uomini e alla realtà".

Pensi che Luce del Medioevo possa esser utilizzato non solo nella battaglia delle idee ma anche quale lettura consigliata e di supporto -- se non proprio come libro di testo -- da adottare nelle scuole?

" Non solo lo credo. Lo spero e lo auspico. E questa non è l'ultima delle ragioni della sua riproposizione editoriale accresciuta italiana".

 

Articolo apparso su Il Secolo d'Italia sabato 22 aprile 2000