Dalla Cristianità perduta alla Nuova Evangelizzazione

"La perdita di categorie concettuali cattoliche e il rifiuto stesso dell'esistenza di un pensiero cattolico, resero possibile l'incontro col pensiero marxista e le teologie della secolarizzazione protestanti, determinando l'insorgere di una condizione di subalternità culturale dei cattolici da cui non siamo ancora usciti". Così Piero Mainardi, giovane studioso livornese, sintetizza uno dei più gravi problemi - se non il maggiore -, fra quelli che costringono all'insignificanza strutturale la pur importante componente cattolica della società italiana. Il dispiegamento di un'azione caritativa, solidaristica, sociale, economica, che tanti singoli, movimenti, organismi sia del laicato che del clero italiano compiono con abnegazione, sembra sfarinarsi nella non rispondenza a livello istituzionale - locale e nazionale - e politico, di quella "animazione dell'ordine temporale" che il Pontefice Giovanni Paolo II sollecita invitando i cristiani a non "abdicare alla partecipazione alla politica". L'occasione per riflettere ed approfondire i complessi nodi storico-culturali relativi alla comunità cristiana italiana, è venuta dal convegno "Dalla "cristianità perduta" alla "nuova evangelizzazione".Origini, problemi e cenni storici sulla presenza dei cattolici nella vita politica italiana" svoltosi a Milano in novembre, promosso dall'associazione civico-culturale Alleanza Cattolica e dalla rivista Cristianità in collaborazione con l'Assessorato alla Cultura della Regione Lombardia. Nella 1ª sessione, dedicata a "Le origini di un problema complesso", presieduta dal prof. Francesco Gentile (preside di Giurisprudenza all'Università di Padova), dopo l'introduzione dell'assessore regionale alla Cultura Marzio Tremaglia, Marco Invernizzi (autore di saggi sul Cattolicesimo italiano), ha analizzato "origini e sviluppo della questione democristiana nella storia del movimento cattolico in Italia dopo la Breccia di Porta Pia: dall'intransigentismo alla subalternità"; ripercorrendo le tappe più significative del contributo offerto al progresso civile e spirituale della nazione dall'Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici (organismo unitario della Chiesa italiana formatosi appunto in seguito all'invasione di Roma) e le fratture causate nei decenni seguenti dalla corrente cattolico-democratica che porteranno alla fine dell'impegno unitario nei settori socio-economici e culturali, collegato alla libertà organizzativa in campo politico - ferma restando l'osservanza dei princìpi - che presupponeva di non ingabbiare in un solo "partito", per giunta ideologizzato, l'azione dei singoli e degli organismi ufficialmente cattolici. "Il problema della cristianità nella storia del cattolicesimo italiano" è stato il filo conduttore del contributo di Piero Mainardi che ce ne chiarisce i principali aspetti:

"Ripercorrendo la storia del pensiero cattolico italiano non si può non rimanere stupiti del come in un arco di tempo piuttosto breve la questione di una Cristianità - società che incarni i principi del diritto naturale e lo spirito del Vangelo - finisca per essere così repentinamente e profondamente rimossa dall'orizzonte mentale dei cattolici. Desta meraviglia perché vi sono alle spalle 15 secoli di Cristianità durante i quali, pur non senza contraddizioni ed errori, il cattolicesimo aveva costituito il principale elemento di coesione sociale e spirituale della società italiana e il fondamento ultimo su cui le autorità civili esercitavano il loro potere politico. Desta meraviglia perché il magistero pontificio riconosce il carattere cristiano di quei secoli, indicando particolarmente nella Cristianità medievale un modello esemplare, per quanto non esclusivo, al tempo stesso individuando una catena di errori filosofici e politici che hanno determinato la nascita della società moderna che, coi suoi aspetti secolarizzanti, laicisti, atei, agnostici e relativistici veniva avvertita come categoria ideale contrapposta a quella di Cristianità".

Ma i tempi erano cambiati già alla fine del 1700 e comunque gli organismi del crepuscolo dell'Ancien regime - coi loro tratti assolutistici ovvero oligarchici - non corrispondevano certo all'organicità della societas christiana medievale:

"Una volta venuta meno la Cristianità storica è il magistero a indicare al laicato, abituato non a "pensare" la Cristianità ma a viverci, i riferimenti dottrinali e culturali idonei per una ricostruzione della società cristiana: la corposa produzione di documenti da parte di Leone XIII, non potrebbe essere compresa se non entro un disegno unitario che è proprio quello della ricostruzione della società cristiana. la condanna di ogni forma di presenza cristiana nella società ispirata a criteri utopistici e verso ogni forma di collaborazionismo o confusione con idee ambigue e pericolose, conduceva S. Pio X a riaffermare chiaramente nella lettera Notre Charge Apostolique (1910) che i cattolici non avevano da inventare o costruire una nuova società ma da restaurare e instaurare, su fondamenti naturali e divini, quella società cristiana che storicamente è ed è esistita, limitandosi a ricostruire ciò che la Rivoluzione ha distrutto e riadattandolo "al nuovo ambiente creato dall'evoluzione materiale della società contemporanea". La proclamazione della regalità sociale di Cristo da parte di Pio XI nell'enciclica Quas primas (1925) implicava il rifiuto della laicità dello Stato (intesa in senso rivoluzionario, indifferenza od ostilità rispetto alla religione, non confusione fra Stato e Chiesa) ed evidenziava l'elemento teologico centrale - il Cristo Re in quanto Creatore e Redentore di tutte le cose - da cui partire per ricostruire la Cristianità".

Tuttavia gli eventi degli anni 1930-'40 hanno spazzato via (definitivamente?) tali prospettive ed hanno anzi aggravato la situazione:

"guerra e ricostruzione post-bellica delle società e degli Stati costituirono l'occasione per il magistero di Pio XII di affrontare in modo diretto la possibile ricostruzione di una Cristianità pur in un quadro istituzionale e culturale democratico. Il pontefice interpretava gli eventi bellici come l'effetto di errori remoti, legati "all'apostasia dal Verbo divino" e al tentativo di "staccare e sottrarre la città terrena dalla luce e dalla forza della Città di Dio" da cui sono scaturite concezioni naturalistiche e laiciste degenerate ulteriormente in forme rinnovate di paganesimo, di ateismo pratico ed ideologico. Queste avevano lasciato un vuoto morale e spirituale nelle persone e al tempo stesso alterato la funzione dello Stato che, negata la dipendenza del diritto positivo dal diritto divino, tendeva a farsi fine ultimo della vita e divenire "criterio sommo dell'ordine morale e giuridico". Dunque per papa Pacelli il conflitto finiva per rappresentare il culmine di una vicenda storica di apostasia che costituiva un'aperta apologia del cristianesimo e una condanna di tutta quella catena di errori storici, filosofici e religiosi che aveva determinato la situazione presente. Pertanto la restaurazione di una società ed uno Stato cristiani, s'imponeva come una necessità primaria e diventava una sorta di programma di ricostruzione spirituale, morale e politica che il laicato cattolico avrebbe dovuto porre in atto. Nel disegno di papa Pacelli tutte le realtà della vita umana, dalle più grandi alle più piccole, dallo Stato alla famiglia, dalla cultura allo sport, ai diversi ambiti professionali, potevano e dovevano essere ricondotte ad una concezione cristiana".

Ed invece con un "effetto valanga", nonostante anche i tentativi messi in atto da Giovanni XXIII e da Paolo VI, per rinnovare e rinvigorire le radici cristiane dell'Italia, almeno sul piano pubblico la situazione è degenerata sempre più e qui si inserisce il ruolo storico della Democrazia Cristiana, intesa come tendenza e corrente ideologica, caratterizzata da una mentalità e dal suo perdurare anche dopo la scomparsa della stessa DC, di cui è parte importante un aspetto concernente le modalità di azione politica concreta, tratte appunto da pesanti pregiudiziali ideologiche, ben esemplificate - ancor oggi! -, dall'ex-segretario DC on. Ciriaco De Mita:"...Quando gli storici si occuperanno di fatti e non solo di propaganda spiegheranno che il grande merito della DC è stato quello di avere educato un elettorato, che era naturalmente su posizioni conservatrici se non reazionarie, a concorrere alla crescita della democrazia. La Dc prendeva i voti a destra e li trasferiva sul piano politico a sinistra" (intervista al Corriere della Sera, 23 agosto 1999). Coi risultati legislativi e di mentalità comune che ben conosciamo... Nella 2ª sessione del convegno si è dapprima passati all'attualità col vicepresidente della Provincia di Milano, Dario vermi e col presidente della regione Lombardia Roberto Formigoni che ha illustrato la legge sulla "Politica regionale della Famiglia",; successivamente, il reggente nazionale di Alleanza Cattolica, Giovanni Cantoni ha concluso con un acuto excursus di stretta attualità: "presenza politica dei cattolici a 10 anni dalla caduta del Muro di Berlino, fra ininfluenza e nuova evangelizzazione".

 

Articolo apparso su L'Arno n° 12 anno XII Dicembre 1999