La Russia da Stolypin a Putin Ancora
qualche bagliore di luce per spazzare via le ombre che Ancora
qualche bagliore di luce che contribuisce a spazzar via le ombre che
avvolgono l’ideologia marxista ed il suo inveramento storico, nell’ideocrazia
bolscevica, che costruì
il cosiddetto “socialismo reale” ed in particolare il primo
di questi “stati totalitari” l’Unione delle Repubbliche Socialiste
Sovietiche. Perdura purtroppo (e sarà il caso di ritornarci su altre
pagine), in ambienti non solo
vetero-marxistici
e nostalgici del “potere operaio”, ma anche genericamente
“progressisti” e liberal l’assurda tesi della non
comparazione fra il totalitarismo nazionalsocialista ed i suoi esiti –
sterminii di massa – e quello comunista che ha avuto conseguenze
identiche con l’aggravante di esser molto più estese nel tempo e
nello spazio territoriale. Lo stereotipo “buonista” sui fini
positivi “per la liberazione dell’umanità” delle teorie
elucubrate da Karl M. Marx ed epigoni, realizzate nella pratica
dai “rappresentanti dei lavoratori” con errori, devianze,
magari eccessi, ma salvando l’ideale sotteso di “eliminazione dello
sfruttamento” e tenendo conto delle famose “condizioni oggettive”
e dei complotti delle “forze oscure della reazione in agguato” è
ancora largamente diffuso. Pertanto è davvero utile leggere quel che
narra un nomenklaturista già sovietico, Aleksandr Nikolajevic
Jakovlev in “La Russia il vortice della memoria. Da Stolypin a
Putin” SPIRALI, Milano, 2000, 590 pagine Lit. 60.000. Utile
perché Jakovlev è stato non solo il braccio destro
“propagandistico” (consigliere speciale alla presidenza) di Mikail
Gorbacëv dal 1985 al fatidico agosto 1991 quando i “vosmjorka”
(il capo del KGB Vladimir Krjuchkov, il primo ministro Pavlov, i
ministri della Difesa, Dmitri Iazov, e degli Interni, Bori Pugo, il
vicepresidente Janaev ed altri) tentarono un putsch per
“raddrizzare” in senso esclusivamente leninista, il corso della perestrojka
e della glasnost
che “erano scappate di mano” alla nomenklatura.
Jakovlev è stato, sin dalla fine del 1945, dentro le strutture del
potere sovietico ed in particolare dei vari dipartimenti che sia nel
Partito unico, che nello Stato, si occupavano della propaganda e
dell’informazione (ma naturalmente sarebbe meglio dire della
disinformazione). Jakovlev così ci fa conoscere la vita quotidiana dei
burocrati di partito che passano il tempo a combattersi fra di loro,
divisi per cordate, per clan, sia “territoriali”, che di
“amicizia” derivata da frequentazioni di scuole o istituzioni,
ovviamente anche per correnti ideologiche ma in un intreccio di
motivazioni e persino odi, anche individuali, per fare carriera, che la
dicono lunga sul sedicente “potere del popolo”. Interessanti anche
le pagine sul periodo della guerra 1941-1945, con lo svelamento dei
massacri subiti dagli stessi soldati dell’Armata Rossa, mandati allo
sbaraglio da polkom (commissari politici) militarmente incapaci
ma fanatici comunisti e da ufficiali promossi per meriti di partito e
spesso ubriachi. Un altro punto cruciale del volume, che rimanda
all’inizio di questa recensione, è
l’essere Jakovlev critico persino spietato di tutta
l’esperienza sovietica, sin da V. I. Lenin, descritto, in base a
documentazione inoppugnabile, come un vero e proprio ossesso dominato da
un solo maniacale impulso: quello di ordinare fucilazioni. Ma Lev
Trockji
gli fa concorrenza
e se Lenin è “l’inventore” ufficiale del sistema del Gulag
– ordinando allo spietato capo della Ceka Felix Dzerdzinskj di
rastrellare i “nemici del popolo” – Trockji “inventa” i lavori
forzati per i sospetti, persino donne e bambini, quando non procede a
fucilare anche queste “categorie di parassiti sociali” senza nessuna
pietà. Ma Jakovlev
è rimasto di “sinistra”, ha fondato un partito
socialdemocratico nella Russia postsovietica, ancora semidemocratica, fa
grandi professioni di “progressismo”. Così – e veniamo alle
critiche che pur vanno fatte -
definisce sì correttamente “colpo di stato” la cosiddetta
Rivoluzione dell’Ottobre 1917 ma la inquadra come
“controrivoluzione” che “gettò le basi per
la creazione di uno Stato criminale sovietico di tipo fascista”.
Questo linguaggio naturalmente contribuisce ad accrescere la confusione
e non si tratta di mera questione terminologica. Come si potrà
comprendere chiaramente quel che è accaduto se si condanna sin
dall’inizio il moto sovversivo bolscevico ma lo si traveste nel suo
contrario (controrivoluzione) e si attribuisce il suo esito statuale al
“simile” (ma non certo identico quanto a totalitarismo e massacri)
“fascismo”? E solo per salvare ancora una volta, l’idea di una
Sinistra – a metà fra socialdemocratica e liberale, (è stato negli
“insospettabili” anni 1958-’59, alla Columbia University grazie al
programma d’interscambio Fullbright… gruppo mondialista
filosovietico)- incontaminata dalle pratiche criminali rivoluzionarie?
La Spirali ha quindi offerto un documento interessante, pur con alcune
delle pecche che riscontravamo per motivi in parte diversi in Viktor
Suvorov “Stalin, Hitler e la rivoluzione bolscevica mondiale”
apparso nella stessa collana “l’alingua”: mancanza
di note, riferimenti cronologici, bibliografici, soprattutto dei
numerosi personaggi e situazioni storiche richiamate, dovute anche al
disordine della narrazione dell’autore. Articolo uscito su Il
Corriere del Sud, pagina 35
“Corriere Libri ” |