Il "nine eleven" visto dagli Usa

 

Come vivono gli USA il dopo “nine eleven”? Cosa pensano davvero le elites politiche, culturali, economico-finanziarie? C’è consenso diffuso sulle scelte in politica interna ed estera dell’Amministrazione di Bush jr? Le “normali” categorie ideologiche e partitiche usate (e abusate) in Europa sono adeguate a definire le posizioni statunitensi? Come riviste, giornali, fondazioni stanno "ripensando" alle implicazioni dell'avvenimento?

Viste dagli Usa le semplificazioni europee – destra/sinistra, liberal/conservatori, democratici/repubblicani, falchi/colombe – si rivelano spesso imprecise, come per le critiche all’eccesso di “centralismo, statalismo, aumento della legislazione repressiva” che arrivano da autorevoli ambienti di tendenza “conservative” e libertarian e non solo liberal cioé progressisti. Anche le questioni connesse all’interventismo da “sceriffo globale”, sono criticate trasversalmente, e vi sono accese diatribe sui paragoni “imperiali” e specialmente con quello di Roma (come Max Weber “preannunciava” nel destino dell’America già nel lontano novembre 1918), che agitano le Foundation e la miglior saggistica. I gruppi “Libertarian” (più o meno ultraliberali ma nel contempo comunitari), contrastano l’interventismo e l’incremento del controllo statalistico (in USA detto “federale”). I più seri dubbi sono sul progettato attacco all’Irak e in generale tutta la proiezione militare mondiale a stelle e strisce, e la recente nascita, per la prima volta in oltre 200 anni di repubblica, di un “ministero degli Interni” (Office of homeland security affidato a Tom Ridge che dovrebbe trasformarsi a metà novembre in Dipartimento) che ridurrebbe i diritti locali e le libertà del singolo cittadino. La Heritage Foundation e la Rand Corporation – fra i più autorevoli e longevi centri di consulenza culturale, legislativa, politica, tecnica e serbatoio di quadri per le istituzioni -   sono impegnate direttamente nel sostenere tali programmi dell’Amministrazione (anzi spesso ne sono ispiratori), i “libertarian alla Milton Friedman” del Cato Istitute ed i conservatori di Chronicles e di American Cause, le ricusano con preoccupazione. Mentre, e non è certo un caso, la Hoover e la Brookings Istitution, “serbatoi di pensiero” in genere vicini ai Democratici più che ai repubblicani (e comunque non certo conservatori), avanzano poche critiche a queste scelte di Bush jr. Anche il più citato da un anno a questa parte dei politologi, oggetto di aspre (e spesso superficiali) critiche o semplificazioni dannose delle sue analisi, fa parte di circoli e ambienti certo più liberal che conservative ma è assurto a nume tutelare della fase epocale e foriera di pericoli vecchi di secoli in cui viviamo, Samuel P. Huntington scrive la prima stesura del suo ormai imprescindibile Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, nel 1993 per Foreign Affairs, rivista di influenti elite liberal ( il CFR Council on Foreign relations) e tiene corsi all’Olin Istitute dell’Università  Harvard. Per Huntington “Si deve distinguere fra cultura e struttura, la struttura del potere globale. Durante la guerra fredda c’erano due superpotenze, ne è rimasta una e in più una dozzina di poteri regionali (Europa, Cina, Russia, India ecc.). Fra questi e la superpotenza c’è un costante potenziale di conflitto. Gli Usa e l’Ue condividono una cultura occidentale, ma la logica della cultura lavora contro la logica del potere. Dopo l´11/9 gli europei si sono sentiti parte di una comune cultura occidentale e hanno dato vita a una grande ondata di solidarietà. Adesso però sta di nuovo prevalendo la logica del potere, insieme alle vecchie divergenze”. Sarà il problema da risolvere fra le due sponde dell’Atlantico insieme a quelli, cruciali, del rapporto con l’Islām e delle fonti energetiche.

 

Articolo uscito su IL QUOTIDIANO della Calabria e Basilicata Speciale 11 settembre Dossier Pagina  III “ Personaggi”  Anno 8 n° 249   mercoledì  11  settembre  2002 con lo stesso titolo