Introduzione
E' oggi in atto nel mondo anglosassone un vivo dibattito
tra studiosi di orientamento liberale e studiosi di
orientamento comunitario. I primi fanno fondamentalmente
riferimento all'individuo e pongono le scelte su ciò che
deve contare per l'individuo e le singole persone - i
valori e quindi anche la concezione di giustizia - come
derivante da una elaborazione razionale, universale e
necessaria di tipo kantiano, oppure derivante da un
contratto (o patto) sociale, scaturente da un accordo tra
gli individui, ritenuti uno per uno fonte di valore.
I secondi ritengono che i valori, le virtù, tutto ciò
che conta e deve contare per le persone, non sia frutto né
di una elaborazione intellettuale personale
generalizzabile e universalizzabile, o di un patto tra
individui, ma sia ciò che nelle concrete comunità
storiche, attraverso una lenta evoluzione, si è venuto
ponendo come valori, come virtù, e tra queste la
giustizia.
Questo dibattito si è avviato agli inizi degli anni
Settanta, dopo la pubblicazione di A Theory of Justice di
John Rawls, che esprimeva una concezione di giustizia che
formalmente avrebbe dovuto costituire l'espressione di un
contratto tra individui, ma che in realtà non era
espressione di soggetti veri, bensì frutto di un
artificio intellettuale (gli individui dietro il velo di
ignoranza), un'operazione di costruttivismo kantiano.
Vale a dire un'elaborazione concettuale del filosofo John
Rawls, che pensando con la sua mente ritiene di cogliere
una concezione di giustizia che per essere
universalizzabile debba avere significato e valore per
tutti gli esseri umani.
Una delle molte critiche mosse a Rawls è stata quella di
far riferimento a "individui disincarnati",
fuori della storia, "unencumbered self", come
ha scritto Michael Sandel. Gli "individui incarnati"
invece sono quelli che appartengono a comunità, e i
valori e le virtù, tra cui la giustizia, sono quelli
propri della comunità, che nutre di essi i concreti
individui, li educa, li rafforza. li giustifica, li
sostiene.
Il confronto con il pensiero del liberalismo neo-kantiano
di John Rawls da parte dei comunitari ha visto come
fondamentali attori filosofi molto noti quali Charles
Taylor, Micharel Sandel, Alasdair MacIntyre, Michael
Walzer. Man mano nel tempo si è però venuto a
sviluppare nel mondo anglosassone un movimento
comunitario, che ha assunto un consolidamento
istituzionale; ha una leadership in Amitai Etzioni, e ha
sperimentato una vasta riflessione da parte di numerosi
studiosi, non solo filosofi ma anche sociologi,
economisti, politologi, social critics (ovvero, nel
nostro linguaggio, intellettuali militanti").
In generale i comunitari si contrappongono ai liberal; la
loro elaborazione di fondo è di rifiuto dell'Illuminismo
e delle sue pretese teoriche e di prassi. La
sottolineatura essenziale sembrando essere quella ai
valori, al significato e all'importanza della comunità,
in contrapposizione alle concezioni e alle prassi che
pongono al loro centro - come punto di riferimento
essenziale - l'individuo. Quindi la dicotomia sarebbe tra
liberalismo individualistico e comunitarismo.
Si può notare che il pensiero comunitario ha riscosso
una particolare attenzione da parte di studiosi cattolici,
specie in ambito filosofico e sociologico. Però in
Italia ha suscitato una certa attenzione sia tra filosofi,
economisti e politologi etichettabili di sinistra e di
destra. Con riferimento alla sinistra decisamente
marxista, (anche se post-marxista) il riferimento più
immediato va a Giorgio Lunghini; per la destra, a
Marcello Veneziani. Il primo nel volume L'età dello
spreco conclude individuando in una realtà comunitaria,
nella società comunitaria, quello che un tempo era
tradizionale nei marxisti attribuire alla società
socialista (o comunista). Una situazione in cui non fosse
più presente alienazione, sfruttamento, e soprattutto
quello spreco che sarebbe proprio della società
capitalista.
Per Marcello Veneziani il comunitarismo costituirebbe in
sé un termine di riferimento contrapposto alla posizione
e concezione liberal, in chiave culturale generale e
quindi anche in termini di proposta e progetto politico.
Partendo dal dato delle riflessioni svolte nel Convegno
internazionale "Etica, economia e principi di
giustizia", nell'incontro di studio che si terrà
mercoledì 31 gennaio 2001 presso l'Università Cattolica
in Milano, si intende cercare di compiere qualche passo
avanti. I problemi nodali sul tappeto sembrano essere i
seguenti.
1. Secondo una concezione comune piuttosto diffusa e
corrente, nelle società occidentali - a iniziare da
quella italiana - coesistono principi forti espressione
di una tradizione e di una concezione liberale, come sul
valore fondamentale della libertà e dell'autonomia
individuale, e principi di cooperazione, anticompetitivi,
che possono peraltro essere frutto di una spontanea
volontà in tal senso di un certo numero (e magari di
molti) individui nella società, oppure di concezioni e
valori che sono stati elaborati nel tempo in quella che
è definibile comunità e che si trovano in qualche modo
presenti a competere con gli altri. E' corretta e
accettabile questa interpretazione? In che modo si
esprime, cioè con riferimento a quali termini e
parametri di riferimento?
2. Si asserisce sovente che esiste un individualismo
spinto in base al quale per il comportamento individuale
e privato nella nostra società si ammette che ognuno
possa comportarsi come vuole, mentre per quanto concerne
ciò che è pubblico si tenderebbe ad assumere la
necessità di comportamenti rigorosi e intransigenti. E'
così? Ma non si pone comunque un problema relativo al
fatto che comportamenti individuali - nelle sfere in cui
si abbia conoscenza pubblica dei medesimi - hanno una
rilevanza collettiva, e dunque comportino implicazioni di
scelta collettiva?
3. Nella nostra società esistono tensioni verso la
possibilità di rafforzamento delle scelte individuali (ovvero
della possibilità di scelte individuali) nel campo dei
beni collettivi; tendenze al mantenimento delle soluzioni
paternalistico-stataliste tradizionali; tensioni verso l'attribuzione
di responsabilità a soluzioni cooperativistiche
comunitarie, non legate necessariamente a comunità
definite su e vincolate a un territorio, ma piuttosto a
comunità stabilite e definite in senso verticale. E'
corretta questa interpretazione della realtà italiana?
Questi diversi modi di essere e di procedere hanno anche
un correlato politico. Si intende cioè dire che simili
modi di essere e di procedere hanno alle spalle
giustificazioni teoriche, ideologiche, filosofiche,
politiche e anche momenti politico-istituzionali -
attuali o potenziali - per sostenerli e tradurli in
concreto.
4. E' stato recentemente sostenuto che alle tradizionali
polarità culturali e politichre di "destra" e
"sinistra", sia per interpretare la realtà che
per costruire un progetto politico, sarebbe opportuno
sostituire la dicotomia liberal - comunitari, essendo
possibile individuare nella concreta realtà (a iniziare
da quella italiana ) elementi evidenti e piuttosto
precisi che vengono a differenziare ciò che pertiene
alla cultura liberal da una parte, e a quella comunitaria,
dall'altra. Se anche fosse così, come si presume di
poter passare dall'idea intuita alla realizzazione? Si
pensa che sia concepibile un partito comunitario, da
creare ex-novo, o piuttosto che determinate forze
politiche e culturali già oggi presenti sulla scena
scoprano e mettano in evidenza come elemento
caratterizzante la loro matrice comunitaria?
5. In termini di approccio economico teorico, che cosa
significa passare dall'impostazione fondata sull'individualismo
metodologico, a una fondata sui principi comunitari?
Quali elaborazioni sono state compiute? Quali gli esiti
teorici generali e le eventuali indicazioni operative? E
quali sono le critiche e le risposte avanzate in
propositivo dagli economisti e studiosi individualisti,
neoclassici, istituzionalisti, delle public choice, neo-austriaci,
e altri?
6. Sul tema della giustizia in generale, e della
giustizia distributiva in particolare. Secondo una
concezione liberale, di un liberalismo kantiano come
quello di John Rawls - quanto meno del Rawls del 1971 -
è possibile individuare dei principi di giustizia che
dovrebbero avere valore universale. Rawls sembra avere
abbandonato una simile concezione, e la sua attuale pare
molto simile a quella di James Buchanan, cioè che in
sostanza in una società valgono le regole su cui si è d'accordo,
tra i soggetti che si mettono d'accordo e stipulano un
patto. Quest'ultima è certamente una posizione
relativista. Ma anche la soluzione comunitaria non è
forse relativista? Se le virtù sono i valori praticati
nelle concrete comunità, che garanzia esiste che queste
virtù e valori (cioè, prima ancora, concezioni e valori)
non siano diversi nelle diverse comunità? Come è
possibile superare una simile difficoltà? In che modo
Aristotele supera le obiezioni dei sofisti? In che modo
MacIntyre con il suo riferimento alla tradizione
aristotelico-tomista riesce a superare le conclusioni cui
era pervenuto in Dopo la virtù? E in che modo riesce a
superare le critiche che varie scuole filosofiche hanno
mosso alle posizioni aristotelico-tomiste, oltre che alle
posizioni illuministe, e a quelle nietzschiane?
7. Per concludere. In conformità al pensiero liberale -
o quanto meno a una certa concezione e forma del pensiero
liberale - è pensabile che all'interno di poche regole
di base ogni individuo cerchi e determini da sé medesimo
le proprie concezioni della buona vita; la società sia
poco più che una finzione o un'ombra. In un simile
contesto gli individui - con una decisione specifica ex-novo,
o in conformità a una tradizione - possono raggrupparsi
e stabilire regole di vita in conformità a una
concezione comune e omogenea di buona vita.
Modo di procedere e di essere che può ampliarsi quanto
si voglia, ma dove comunque, nella logica dell'individualismo
liberale non repubblicano (cioè contrattualistico) in
cui i valori collettivi vengano posti attraverso un patto,
ogni comunità deve rispettare ogni altra comunità, e
tutte le comunità devono rispettare gli individui che
non vogliono appartenere ad alcuna comunità, e alle loro
concezioni della buona vita.
La soluzione ovvero realtà sociale in cui esistessero (o
venissero posti) valori comuni riconosciuti e necessari,
potrebbe invece impedire l'autonomia comunitaria e
individuale difforme da quella dominante. Ognuna di
queste soluzioni presenta costi e difficoltà. Anche in
questo caso "non esistono pasti gratis".
Questi temi verranno discussi il giorno mercoledì 31
gennaio, dalle ore 10 alle 18, in Università Cattolica,
nell'Aula Negri da Oleggio.
Il Professor Giancarlo Mazzocchi presenterà gli atti del
Convegno tenuto nell'aprile 1998, sul tema Etica,
Economia, Principi di giustizia. Introdurrà Andrea
Villani. Saranno relatori Luigi Campiglio, Pierpaolo
Donati, Lorenzo Ornaghi, Adriano Pessina, Marco Respinti,
Giancarlo Rovati.
Relazioni e dibattito dell'incontro saranno
immediatamente pubblicati. E' nostra intenzione
verificare le nostre posizioni sull'argomento. In ottobre
o novembre 2001 è nostra intenzione tenere un convegno
internazionaleampliare la riflessione, al quale
inviteremo tra gli altri Amitai Etzioni e Amartya K. Sen,
per approfondire e ampliare la riflessione. |