Edmund Burke

Difesa della società naturale

a cura di Ida Cappiello, Liberilibri, Macerata 1993, pp. XLVIII + 80, £ 24.000

 

Nel 1756, all’età di ventisette anni, Edmund Burke, pensatore e — quantunque di nascita irlandese — futuro parlamentare a Londra, pubblicava la sua prima opera, A Vindication of Natural Society or a View of the Miseries and Evils Arising to Mankind from EverySpecies of Artificial Society. In a Letter to Lord * * * * by a Late Noble Writer.

Con questo stesso titolo, l’opera è stata pubblicata negli Stati Uniti d’America, in un’edizione moderna, curata e introdotta da Frank N. Pagano (Liberty Fund, Indianapolis 1982). Accresciuta, essa è comparsa in lingua italiana, con il titolo abbreviato Difesa della società naturale, tradotta e curata da Ida Cappiello.

Nato a Dublino, il 12 gennaio 1729, e scomparso a Beaconsfield, il 9 luglio 1797, Edmund Burke è noto, particolarmente in Inghilterra e nell’America Settentrionale, per le sue doti non comuni di oratoria e di eloquenza; per la prosa fluente e suggestiva, che ne fa uno dei maestri della lingua inglese; per la feconda attività parlamentare; ma, soprattutto, per essere stato il primo lucido e significativo critico della Rivoluzione francese e della filosofia razionalista, deista e sensista che l’ha ispirata. A essa, egli contrappose — influenzando, poi, moltissimi autori britannici, francesi e tedeschi, e dando vita, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti d’America, a un vero e proprio filone di pensiero — l’apologia non tanto dell’Ancien règime francese — come vorrebbe una critica superficiale —, ma quella del "commonwealth cristiano d’Europa", di cui, a suo giudizio, la società settecentesca rappresentava soltanto l’esempio più recente. Ne è ampia illustrazione Reflections on the Revolution in France, pubblicato a Londra nel 1790 (trad. it. Riflessioni sulla Rivoluzione francese e sulle deliberazioni di alcune società di Londra ad essa relative: in una lettera destinata ad un gentiluomo parigino, in Idem, Scritti politici, a cura di Anna Martelloni, UTET, Torino 1963, pp. 149-443; e Riflessioni sulla rivoluzione francese, con una prefazione di Domenico Fisichella, Ciarrapico, Roma 1984; recensione di Paolo Mazzeranghe, in Cristianità, anno XIV, n. 132, aprile 1986, pp. 11-12).

In italiano, benché sia disponibile solo una parte degli scritti burkeani e benché non abbondino opere di seria critica storiografica e filosofica sul pensiero dell’anglo-irlandese, altre sue importanti opere sono raccolte nel volume Scritti politici, a cui si devono aggiungere Inchiesta sul Bello e sul Sublime (a cura di Giuseppe Sertoli e Goffredo Miglietta, 4 a ed., Aesthetica, Palermo 1992) e Pensieri sull’attuale malcontento (a cura di Gabriella Galliano Passalacqua, ECIG, Genova 1987).

L’edizione italiana di Difesa della società naturale — non esente da alcune inesattezze editoriali e di traduzione —, condotta, come quella nordamericana, sulla seconda edizione riveduta del testo originale, apparso nel 1757, si apre con una Notizia (p. VII), redatta da Ida Cappiello, seguita dall’Indice (p. IX) — in realtà incompleto — e dal saggio della stessa curatrice italiana, Edmund Burke: ragione, realtà sociale e potere (pp. XI-XXXII).

Dopo una succinta Bibliografia (pp. XXXIII-XXXIV), compare la traduzione italiana dell’Introduzione all’edizione americana, di Frank N. Pagano (pp. XXXVII-XLVI) e, finalmente, Difesa della società naturale ossia un panorama delle sventure e dei pericoli che sorgono per gli uomini da ogni forma di società artificiale. In una lettera a Lord **** da un anziano scrittore (pp. 1-70). L’Indice analitico (pp. 71-76) conclude il volume.

Difesa della società naturale appare, comunque, testo piuttosto enigmatico, giacché appartiene a un genere letterario particolare — quello satirico —, qui reso ancora più complesso dal fatto che l’autore si è sforzato di imitare, ironicamente, lo stile e il pensiero d’altri. Nel mondo anglosassone, del resto, questo escamotage letterario e le sue difficoltà hanno dato origine a un certo dibattito interpretativo.

La satira fu composta e pubblicata anonima come reazione critica alla filosofia di Henry St. John, visconte di Bolingbroke (1678-1751), di cui in lingua italiana è disponibile L’idea di un re patriota (introduzione, trad. it. e commento di Guido Abbatista, Donzelli, Roma 1995). Edmund Burke volle deridere l’astrattezza e stigmatizzare la pericolosità delle idee del visconte, riconducibili al cosiddetto pensiero libertino inglese — componente dell’illuminismo — che andava diffondendosi nella Gran Bretagna del secolo XVIII. Secondo la curatrice italiana, Henry St. John fu autore di "[...] vere e proprie requisitorie contro la religione, la metafisica, la filosofia di Platone e del cristianesimo platonizzante", visti come "fonti dell’idolatria, dell’ipocrisia e della superstizione" (p. XI).

L’opera di Edmund Burke, allora, intesse "[...] dimostrare che il deismo non può che concludersi nell’anarchia, che un certo tipo di critica alla religione si trasforma inevitabilmente in critica non di un governo ma del governo in sé, e della società civile" (ibidem).

Fuor di satira, però, nel testo appaiono "[...] già presenti il rifiuto dell’astratto teorizzare e il convincimento che l’esistenza umana, e l’ordine sociale che le è necessario, si fondano su qualcosa di diverso dalla sola ragione, e che [...], la natura umana, ricca di componenti passionali e sentimentali, è una natura complessa di cui la ragione è solo una parte" (ibidem); ovvero, i tratti caratteristici della successiva produzione culturale burkeana.

Pertanto, "[...] la Difesa della società naturale è già in nuce la critica ad ogni politica che voglia fondarsi su princìpi astratti e non sappia ricollegarsi ai valori e, perfino, ai pregiudizi della società" (p. XV); ossia, una difesa "in controluce" di una "[...] concezione della politica come saggezza, come "prudenza" — l’aristotelica phronesis — che sappia tenere conto di valori ampiamente condivisi, della tradizione e dei costumi, e delle componenti non razionali che inducono l’individuo ad agire e anche ad aderire a istituzioni politiche" (p. XII), in un’epoca storica in cui il clima culturale britannico stava velocemente mutando, sotto la spinta dell’illuminismo.

Ida Cappiello aggiunge che "[...] egli fu e rimase un liberale Whig [...]" (p. XXX), seppur moderato — un’affermazione reiterata in più passi, anche se diversamente formulata —, ovvero un pensatore conteso fra un certo conservatorismo, la filosofia d’ispirazione lockeana e l’appartenenza al partito Whig, peraltro indicato un po’ troppo semplicisticamente come del tutto equivalente a un moderno partito liberale.

Su questa scorta, la curatrice si sente d’affermare come vi siano pagine "[...] che fanno dubitare del tono e dell’intenzione satirica di Burke [...]" (p. XVII), riproducendo un’interpretazione del testo vecchia e già superata su solide basi scientifiche (cfr. Peter J. Stanlis, Edmund Burke. The Enlightenment and Revolution, con una prefazione di Russell Kirk, Transaction, New Brunswick [New Jersey] e Londra 1991, pp. 163-169). Del resto, Ida Cappiello sostiene che "[...] non è necessario dargli ragione o torto, tanto meno considerarlo nostro contemporaneo"(XXXI).

Anche Frank N. Pagano propone, in parte, il medesimo approccio interpretativo. Puntualizzando che Edmund Burke "[...] si definiva un Old Whig", in quanto "prima della Rivoluzione non c’erano né conservatori né liberali" (p. XXXVII), lo studioso americano introduce opportunamente un elemento quantomeno indicativo della limitatezza e dell’arbitrarietà dell’impiego di certe etichette politico-ideologiche, quando non adeguatamente glossate e considerate in relazione ai tempi e alla storia delle culture e delle nazioni.

La questione dell’autenticità nell’intonazione satirica dell’opera è, infatti, tutt’altro che una semplice disquisizione letteraria accademica. Infatti, se Difesa della società naturale è una satira critica, risulta evidente la coerenza fra il pensiero giovanile di Edmund Burke e i suoi sviluppi posteriori.

Ampio risalto ne otterrebbe l’atteggiamento decisamente antirivoluzionario e autenticamente conservatore — di princìpi immutabili e di valori eterni, e non del semplice status quo — dell’anglo-irlandese. In questo quadro, le successive battaglie parlamentari burkeane contro la tirannia e in favore delle libertà — "plurali", storiche e concrete — assumerebbero contenuti antitotalitari in linea con la filosofia morale sociale naturale e cristiana.

Se, invece, Difesa della società naturale non fosse opera d’ironia, il giovane Edmund Burke apparirebbe poco differente da un tipico pensatore illuminista liberale. La sua complessa attività politica assumerebbe un tono rivoluzionario "moderato", all’insegna d’un timore nutrito esclusivamente per la deviazione estremista — i cosiddetti "eccessi" del 1789 francese — d’un filone di pensiero che anch’egli peraltro avrebbe condiviso.

Frank N. Pagano imposta correttamente la questione; interrogandosi sull’atteggiamento del pensatore anglo-irlandese nei confronti della Rivoluzione francese, evidenzia due alternative: "1) Egli modificò le sue opinioni al manifestarsi della violenta frattura rivoluzionaria nella storia. La Rivoluzione francese lo rese conservatore contro i suoi antichi princìpi. 2) La Rivoluzione fu un evento del tutto nuovo. Coerentemente con i suoi antichi princìpi, egli si oppose a essa, mentre i suoi alleati di un tempo, coerenti o no con i loro, la sostennero" (p. XXXVII).

Lasciando irrisolto l’interrogativo, lo studioso americano rileva che, fra i contemporanei, "le risposte rispecchiavano gli orientamenti dei seguaci di Burke" (p. XL) e che, ancora oggi, la questione sulla natura del pensiero di Edmund Burke "[...] riguarda anche tutti i grandi intellettuali conservatori che, sulla sua scia, si sono opposti ai movimenti rivoluzionari della storia moderna" (p. XXXVII).

Se fin dall’epoca immediatamente successiva alla scomparsa dello statista antirivoluzionario, si è affermata un’interpretazione utilitarista del suo pensiero, a partire almeno dagli anni 1950, si è fatta strada una corrente storiografica e interpretativa nuova.

Soprattutto a partire dalle analisi e dalle considerazioni di commentatori statunitensi come Russell Kirk e Peter J. Stanlis, dunque, la nuova "scuola" di studi burkeani ha evidenziato che davvero lo statista anglo-irlandese s’inserì nella tradizione classica e cristiana, fondando il proprio pensiero su una concezione non razionalistica del diritto naturale. Si diffuse, così, la lettura finalmente autentica di un Edmund Burke "padre del conservatorismo anglosassone moderno" di matrice alternativa all’illuminismo.

Al conflitto delle interpretazioni di Difesa della società naturale, fa brevemente cenno il curatore americano (cfr. nota 3, p. XLV), richiamando alcune delle opere maggiori delle due scuole di pensiero; mentre l’esclusione dalla Bibliografia di Ida Cappiello di opere appartenenti alla scuola conservatrice appare coerente — quantunque evidentemente limitante — con l’inquadramento tendenzialmente liberale o liberal-moderato, che la curatrice italiana offre del pensatore irlandese.

Recensendo The Great Melody: A Thematic Biography and Commented Anthology of Edmund Burke (University of Chicago Press, Chicago 1992) del discusso e "non conservatore" Conor Cruise O’Brien, padre Francis Canavan S.J., sulle pagine di The University Bookman — il trimestrale fondato e diretto fino alla scomparsa da Russell Kirk, a Mecosta, nel Michigan —, ha osservato opportunamente che, fin dal primo studio dedicato al pensatore irlandese da Peter J. Stanlis, il punto centrale è consistito nell’evidenziare come "[...] il fondamento morale e intellettuale della scienza politica di Burke non fu l’utilitarismo attribuitogli dagli scrittori ottocenteschi, ma la dottrina del giusnaturalismo morale che discendeva dal Medioevo" (A Blinkered Life of Burke, in The University Bookman, vol. 33, n. 4, 1993, p. 12), ricordando come lo statista mostrasse di possedere quello che "[...] Sir Ernest Barker chiamò "stampo di pensiero cattolico"", ossia "[...] la dottrina del diritto naturale, che poteva facilmente essere giunta a Burke attraverso la teologia anglicana di ecclesiastici come Hooker, Leighton e Tilotson". Infatti, "il diritto naturale e l’ordine creato dell’universo furono basilari per la sua scienza politica matura [...]" ( ibid., p. 13).

Marco Respinti

 

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