Una fantasia postmoderna

Il saggio critico di Monda e  Simonelli

Arricchito da un’originale copertina di Allegra Agliardi, “Tolkien, il signore della fantasia”,  Frassinelli, 2002, 270 pagine, 13.00, scritto da Andrea Monda (docente di religione, studioso di mitologia) e Saverio Simonelli (giornalista di Sat 2000), è uno studio filologico che sgombra il campo da interpretazioni gnostiche, per restituire al corpus letterario la dimensione più autentica. Il nucleo del saggio è esplicitato a pagina 5 riprendendo una lettera di Tolkien che rampogna dei recensori quali “persone che hanno fretta” . Sia nel 1° capitolo “Davanti a un mosaico”, che nel 9° “La sfortunatissima fortuna di un libro”, Monda e Simonelli affondano i colpi contro semplicistiche, schematiche, ideologiche, interpretazioni da “Anni 1960 e 1970” de “Lo Hobbit” e de “Il Signore degli Anelli”. Si presentano ne “L’epilogo” come “lettori innamorati del Ring, hanno voluto “criticarlo e persino analizzarlo” e adesso si sentono come Saruman, che “ha abbandonato il sentiero della saggezza”” ma la lettura non è appesantita da notazioni filologiche e struttura del testo, che ha le caratteristiche del saggio critico. Giustamente rimarcano – “facendo parlare” lo stesso Tolkien, specialmente con la sua copiosa corrispondenza – gran parte delle peculiarità e delle vere e reali intenzioni e motivazioni, che spinsero “l’innamorato” di lingue antiche e poemi mitologici a creare “secondariamente” (come puntigliosamente Tolkien non si stancava di precisare), un intero mondo, parallelo ma non “antagonistico” a quello in cui viviamo. Il nocciolo della questione, letteraria e non solo, era già per il professore inglese e per i più stretti amici – gli Inklings – in particolare per Clive Staples Lewis, il rapporto fra ragione e mito, verità e invenzione. A Lewis che contestava la buona fede del mito, Tolkien rispondeva che non erano bugie  ma tentativi di spiegare i misteri del mondo attraverso un racconto. Ed è quel che, in pratica, con le sue “storie” vere e fantastiche a un tempo, Tolkien ha fatto. Un sapiente uso di citazioni consente a Monda e Simonelli di far risaltare il carattere naturaliter christiano sia personale che del legendarium (denominazione preferita dall’autore per le sue opere) e l’attenzione ad un aspetto strettamente connesso all’intero ciclo “della Terra di Mezzo”: l’illustrazione dell’eucatastrofe, la consolazione del lieto fine, simile a quella della “Buona Novella” evangelica. Accompagnata da un risvolto contemporaneo e “post moderno”: un sentimento forte di malinconica precarietà tipico dei periodi di transizione, che ci fa sentire le pagine tolkieniane molto di più che fantasy, fiabe o romanzi (pur essendolo, ma appunto “non solo”) e che forse è una delle radici dell’enorme popolarità. Lavoro degno di interesse in cui stona l’ingenerosità per gli animatori anche cattolici della Rusconi, che negli anni 1970, “scoprirono” Tolkien, circondati da preconcetta ostilità di una critica tanto prevenuta quanto superficiale, la stessa che peraltro Monda e Simonelli stigmatizzano.