Stalinismo e nazismo

 

Che c’entra Marx con Hitler?

 

Si può, finalmente, fare un confronto scientificamente fondato sul piano delle interpretazioni storiografiche fra le ideocrazie totalitarie? O le tante e diverse “pregiudiziali” ideologiche e persino “partitiche”, continuano a bloccare, o a limitare, a censurare preventivamente la ricerca libera e lo studio storico sia esso accademico che divulgativo? Un buon esempio delle tensioni ancora esistenti, delle remore, dei timori e delle incrostazioni ideologiche (il titolo lo testimonia), delle commistioni finanche con la politica in senso elettorale, è dato dal volume – peraltro ricco di informazioni preziose – a cura di Henry Rousso, Stalinismo e nazismo. Storia e memorie comparate, Bollati Boringhieri, Torino, 2001, 354 pagine, € 28,41, “Nuova Cultura n° 84” traduzione di Silvia Vacca, con  testi di Philippe Burrin, Nicolas Werth, Alexandra Laignel-Lavastine, Paul Gradvohl, François Frison-Roche,  Andrzej Paczkowsky, Étienne François, Pierre Hassner, Krzystof Pomian. Il curatore Henry Rousso, è direttore di ricerca presso il Centre national de la recherche scientifique e direttore dell’Institut d’histoire du temps présent di Parigi. La comparazione tra stalinismo e nazionalsocialismo   – tema dominante non solo della ricerca storica ma anche del dibattito politico – ha avuto un nuovo sviluppo, dopo il crollo dell’impero sovietico, grazie anche all’apertura di importanti fondi archivistici. È stato ad esempio possibile mettere alla prova dei fatti accertati il concetto di “totalitarismo”, che qui viene chiarito in alcuni aspetti essenziali: il ruolo del dittatore (führer e vozhd), le modalità della violenza politica, le risposte della società al regime, rispettivamente nell’Unione Sovietica staliniana e nella Germania nazionalsocialista. Nella seconda parte del libro la comparazione investe la gestione del passato e il ricordo traumatico dei due sistemi totalitari: e si evidenzia come abbiano “lasciato in eredità ai posteri enormi questioni sul modo di scrivere la loro storia e di includerla in una memoria collettiva e in un patrimonio nazionale”. Rimangono comunque aperti i problemi di prospettiva, concernenti l’indispensabile riflessione su: scrivere e dire sempre “nazionalsocialismo” e non riduttivamente “nazismo” per non occultare la natura del regime hitleriano che fu infatti la nazionalizzazione del bolscevismo internazionalista ereditato ed ingrandito - in quanto costruito in Urss da Lenin e Trockji - da Stalin (e qui il tentativo, argomentando solo di stalinismo, di “salvare” il comunismo si palesa evidente). D’altronde per il nazionalsocialismo tedesco e per il socialcomunismo sovietico (più che “russo” come ancora una volta riduttivamente si scrive) è stata una storia di intese e connivenze per eliminare i comuni nemici interni ed esterni. Solo che l’Urss, vincendo la guerra “dalla parte giusta”, è riuscita a rifarsi la maschera. In realtà fu uno scontro “fratricida”, in questo senso davvero una “guerra civile”,  fra interpretazioni diverse della medesima ideologia dello Stato-moloch, costato la vita a decine di milioni di persone perché, come si scrisse già negli anni 1980, a Stalingrado ci fu una battaglia fra “destra” e “sinistra” hegeliana.

 

Articolo uscito su Il Corriere del Sud Pagina 45 “Cultura”
Anno XI n° 13  1 – 15 Luglio 2002 con lo stesso titolo