Il reduce è tornato e colpisce ancora

Apocalypse Now ancora un successo

Redux, “colui che ritorna”, il “reduce”. Una scelta simbolica e significativa aggiungere questa parola latina al titolo di un film di per sé emblematico e strettamente intrecciato di richiami simbolici, e che si ripresenta nelle sale in quella che è (apparentemente?) un’altra epoca rispetto alla fine del decennio 1970 in cui apparve. In proiezione a Cosenza, Apocalypse Now Redux non è solo una semplice edizione rimasterizzata e ridoppiata ma grazie a ben 53,  eccezionali, minuti in più, regge benissimo “l’usura del tempo” e si riconferma non solo un capolavoro dell’arte filmica – e la fotografia di Vittorio Storaro acquista, se possibile, maggior rilievo - consentendo di render merito a John Milius e Francis Ford Coppola che lo hanno sceneggiato, per la capacità davvero non comune (se si pensa alla confusione ed alle convulsioni di quegli anni) di aver compreso cos’era successo in Vietnam e soprattutto “perché”. I minuti in cui compaiono (finalmente, dopo l’eliminazione dalla versione originale del 1979 per colpa dei “poteri forti” di Hollywood) Aurore Clement e Christian Marquand, nella più lunga sequenza aggiunta, ambientata in una piantagione francese, inserisce temi del tutto nuovi: l'immutabilità della storia, la superficialità e l’ipocrisia degli strateghi “tecnocratici” statunitensi, una breve parentesi d’amore. Ancor più che allora, coglie lo spirito dei tempi, amplifica e materializza le ossessioni e le paure, attraverso un processo di deformazione che è tipico dell'immaginario ed incuneandosi in un quadro generale anche di elaborazione “politica”. Coppola e Milius hanno davvero “scavato” nell’esperienza allucinante e straziante che fu il Vietnam per tutti gli yankees che vi ebbero a che fare. “Avete inventato voi i Viet Minh (sigla dei comunisti negli anni 1940-’50, armati e addestrati dall’OSS, lo spionaggio americano). Noi combattiamo per la nostra terra ma voi per cosa? per il nulla” dice il saggio colono francese a Martin Sheen che impersona il capitano Benjamin Willard  alla disperata ricerca della “ragione” non solo dell’essere militare e del significato della guerra, ma della sua stessa esistenza. E quando al termine del viaggio “dantesco” sul fiume Nung arriva faccia a faccia col suo deuteragonista, il colonnello Walter Kurtz,  percepisce (forse comprende in pieno), l’assurdità non tanto della guerra in sé ma di quel modo ipocrita di combattere ispirato dalla “religione della tecnologia” delle teste d’uovo liberal kennedyane. Un Marlon Brando che conquista lo schermo in un’altra sequenza purtroppo tagliata nell’originale, fra reportage di Time e passi di “The golden bough” (il ramo d’oro di James Frazier), esplicita il “cuore di tenebra” – altro raffinato rimando degli autori, Kurtz è il nome del protagonista di “Heart of darkness” di Joseph Conrad -  della vicenda, che non è quello della giungla nebbiosa o dei feroci costumi tribali dei “montagnards” che Brando ha scelto di non abbandonare ma la disumanità di una vita che non è vita, in cui non solo non si comprende più dove sono (e cosa sono) bene e male ma l’esistenza è ridotta a pallido simulacro. This is the end canta Jim Morrison al principio di Apocalypse benché nelle sequenze iniziali è già “la fine” con tanto di bombardamento al napalm, muraglia di fiamme che distrugge il rifugio di Kurtz ma in Redux, nelle immagini finali proprio questo “sparisce”, prefigurando forse l’idea originaria e spiazzante, di Sheen che prende il posto di Brando. Ma era “troppo” per gli ipocriti di Hollywood.

Articolo uscito su IL QUOTIDIANO della Calabria pagina 45 “Cultura 6 Spettacoli”
Anno 8 n°93 venerdì 5 aprile 2002
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