Il "qualunquismo" statunitense è di destra

  

Nel 1976, il sociologo nordamericano Donald I. Warren pubblicava un volume importante sulle nuove tendenze del ceto medio americano e sulla sua reazione politica a quello che comunemente viene definito Establishment. In The Radical Center: Middle Americans and the Politics of Alienation, Warren individuava i segni crescenti di un malcontento che andava diffondendosi presso una fascia di popolazione compresa fra i trenta e i sessant’anni, numericamente quasi doppia negli Stati del Sud rispetto a quelli del centro-nord, composta soprattutto di cittadini di origine nordeuropea (ma molti erano i discendenti degli italiani), e composta più di cattolici e di ebrei che non di protestanti laddove fra questi ultimi spiccavano comunque i mormoni e i battisti. Il reddito medio familiare veniva stimato fra i 3 e i 13mila dollari annui e l’estrazione sociale era spesso quella dell’operaio specializzato o semispecializzato con un’istruzione maturata nella scuola secondaria e raramente completata con il college.

Warren lì definì MAR, "Middle American Radical", e nel 1982, con un saggio intitolato Message from MARs, il politologo Samuel T. Francis trasformò la sigla in uno messaggio diretto: il ceto medio statunitense esprime profonda insoddisfazione e si scaglia contro il "Leviatano federale" dei burocrati di Washington, emissari locali compresi. Storia, insomma, di una ribellione morale e politica di ampi strati della società civile contro un governo percepito come unicamente teso a favorire il grande, grandissimo capitale e — contemporaneamente e senza soluzione di continuità — destinato ad affogare nella palude dell’assistenzialismo più deresponsabilizzante, penalizzante e scialacquatore.

Sebbene i MAR abbiano rappresentato uno stato d’animo generalizzato più che un vero e proprio movimento politico organizzato e strutturato, a partire dalla metà degli anni Settanta la loro crescente visibilità sociale e politica è sostanzialmente coincisa con l’insorgere di quella che il sociologo Kevin Phillips ha battezzato "New Right". Ovvero, quella "nuova famiglia" della Destra americana (con la "Nuova Destra" francese e italiana essa ha in comune solo il nome) configuratasi come raggruppamento spesso eterogeneo di sodalizi, associazioni, periodici, piccole fondazioni e singoli attivisti che ha svolto un’importante ruolo alla vigilia e in occasione della prima elezione di Ronald W. Reagan alla Casa Bianca. Secondo alcuni la New Right si allontanava dalla filosofia dei grandi pensatori conservatori degli anni Cinquanta e Sessanta, ma per altri essa ha solo cercato di riformularne il messaggio culturale in una nuova dimensione di attivismo politico. La "Nuova Destra" statunitense è stata "populista" e anticomunista; alfiere della famiglia tradizionale e recisamente contraria all’aborto; spesso sovrapponibile alla cosiddetta "Destra cristiana" dei vari Jerry Falwell (leader della Moral Majority), ma pure portatrice di una forte componente cattolica di sensibilità tradizionalista; sospettosissima delle élite finanziarie e degli oligopoli economico-industriali (la nota Trilateral Commission ne è divenuta il bersaglio eccellente) nonché favorevole alla diffusione massima della proprietà privata in un’ottica di riscossa dello "Small Business" e dello Stato limitato. L’hanno rappresentata piuttosto bene periodici come il Conservative Digest e The New Right Report, nonché opere come il programmatico The New Right: We’re Ready To Lead (1980), introdotto da Falwell e scritto da Richard A. Viguerie (il "fondatore" del movimento), ma soprattutto il più filosofico The New Right Papers (1982), una raccolta di saggi (qui compare quello di Francis già citato) che rappresenta il raccordo fra "Old Right" conservatrice del dopoguerra e "Nuova Destra". Tradizione e libertà, patriottismo, disgusto per il progressismo inaugurato dalla "dittatura" rooseveltiana degli anni Trenta che, favorevole solo al "Big Business", al "Big Labor" e al "Big Government", ha sancito il dominio delle grandi Corporation, dei cartelli delle "grandi famiglie" e dello statalismo; ha promosso una spesa pubblica ingente, l’elevata imposizione fiscale e lo strapotere dei sindacati; ha permesso lo stravolgimento della Costituzione federale, nonché il decadimento dell’istruzione e della cultura, strette in una spirale di generale involuzione del paese: fra anni Settanta e Ottanta, la New Right ha insomma espresso il ceto medio americano.

Tramontata, per mille ragioni, quest’esperienza — o trasformatasi in altre realtà, ivi compreso il "tradimento" di molti suoi esponenti passati dalla critica dell’Establishment all’adesione a esso —, il mondo dei MAR è invece sopravvissuto, pur modificato, fino ai giorni nostri. Soprattutto ne sono sopravvissute (o si sono acuite) le preoccupazioni, i timori, le aspettative: il "messaggio da Marte", cioè, si è fatto ancora più cogente.

Gli Stati Uniti d’America di oggi sono una nazione dove la disaffezione al voto (a parte certe sue profonde ragioni storiche) testimonia un malcontento diffuso, un’insoddisfazione generalizzata che in momenti della storia nazionale come quello clintoniano attuale riconosce un nemico certo nel progressismo della sinistra, ma che pure non si sente rappresentato dalla "destra ufficiale" (sempre che di Destra si tratti) del Partito Repubblicano. Infatti, se un certo favore popolare si rivolge a questo partito nel momento in cui esso indossa le tematiche care alla società civile — come con il Contract with America che nel 1994 ha portato Newt Gingrich e i "nuovi Repubblicani" alla conquista del Congresso dopo decenni di minoranza —, è altrettanto vero, traumaticamente vero, che il ceto medio americano si mostra sfiduciato quando gli stessi Repubblicani dimenticano i patti con i propri costituenti (Gingrich era ieri l’enfant prodige della New Right, oggi, conquistato dall’Establishment, la bête noire dei MAR).

La protesta dell’ "uomo qualunque" statunitense è vasta, profonda, decisa; è di destra perché percepisce come distintamente di sinistra le pratiche e le filosofie liberticide di chi ha fatto dell’arte del governo solo un servizio al proprio tornaconto, ivi compresi quegli esponenti di una "destra di facciata" che in realtà non differiscono affatto dai sedicenti socialdemocratici e dai liberal. "Mind You Own Business" è la divisa di questo vasto movimento di opinione composto di famiglie, di associazioni di genitori, di lavoratori, di contribuenti, di piccoli industriali, di artigiani: e non si tratta di un microcefalico egoismo "da bottegaio" all’insegna del mors tua vita mea o del "tanto peggio per gli altri". La devozione al "proprio orticello" è, secondo Edmund Burke "maestro" dei conservatori, l’origine dell’impegno civile; l’attaccamento alla "piccola squadra a cui si appartiene nella società", a iniziare dalla famiglia, è l’origine dell’affezione alla res publica in una dinamica (per dirla con Gustave Thibon) di "ritorno al reale" anti-ideologico per nulla gretto.

La filosofia del movimento è infatti quella dell’attenzione alle problematiche della vita concreta gestita secondo criteri di libertà altrettanto concreti, che nulla hanno a che spartire con i proclami giacobini e neogiacobini di Liberté astratta sempre marcata poi da un’eterogenesi dei fini che instaura dispotismi (anche in doppiopetto blu) insopportabili e soffocanti. La famiglia, come diceva qualcuno nell’Ottocento americano, è il castello in cui si fa quadrato per resistere ai nemici. Gli acri di terra posseduti (il ranch, la farm, oggi il giardinetto che non manca praticamente attorno a nessuna abitazione della "Smalltown America", o la piccola e media impresa) sono il frutto della lotta per la civiltà che sottrae spazi alla condizione brada.

Una geografia completa dell’ "uomo qualunque" nordamericano occuperebbe certamente un intero volume, forse anche due o tre. Eppure da una prima panoramica si deve pur partire. Piccole comunità, gruppi, organizzazioni, pubblicazioni (spesso locali), i "terzi partiti" e i loro capitoli o i loro affiliati regionali e provinciali, ma soprattutto privati uniti o raccordati spesso in maniera assai fluttuante costituiscono la morfologia di un movimento di opinione tanto diffuso, quanto difficilmente catalogabile univocamente. L’immagine che meglio di altre lo può rendere è quella del network, della rete. Peraltro, il Web, la rete informatica, ne è oggi uno dei veicoli privilegiati, grazie alla sua alta fruibilità e al suo vasto utilizzo. La navigazione dello spazio virtuale svela realtà sempre nuove e sempre in trasformazione (benché si tratti di modificazioni all’interno di un contesto dato che permane nel tempo con caratteristiche culturali precise) e si pone come strumento privilegiato di libera connessione fra esponenti e protagonisti di un mondo poco ufficiale, ma vivacissimo (ne offre un assaggio Andrea Mancia in Cyberpolitics. Guida ai siti politici su Internet, Ideazione, Roma 1998). È facile ricevere tonnellate di materiale, di documenti, di informazioni sulle attività di questa "Main Street" cibernetica, comunque riferita a una realtà assai concreta: l’albero informe delle url e dei siti internet affonda le proprie radici nella terra dura e spesso ingrata che da qualche secolo l’americano dissoda per liberare spazi di civiltà.

Il mondo dell’ "uomo qualunque" nordamericano, del MAR, è un mondo di Destra, ossia conservatore nei princìpi e, nel concreto, innamorato degli spazi di libertà autentica contro cui si ergono le ideologie spersonalizzanti e la "politica politichese". Se dunque di network si tratta, lo è come parte dell’ancora più vasta e variopinta galassia della Destra statunitense della seconda metà del Novecento e come "rete di reti". Il mondo dei MAR è infatti attraversato, non sempre in maniera ordinata e accomodante, da sistemi solari di diversa estrazione o enfasi, che lo rendono alquanto eterogeneo. Per queste ragioni forte e debole allo stesso tempo, la Main Street "qualunquista" è una coabitazione fra gruppi religiosi, libertarian, conservatori, businessman, pro-lifer, lobby di vario tipo, e chi più ne ha più ne metta.

I libertarian — la cui filosofia, di derivazione "liberale classica", s’incentra sulla proprietà privata e sulla libertà massima di commercio e d’intrapresa contro ogni laccio e lacciuolo governativo — sono rappresentati da strutture organizzate come gli importanti Cato Institute, Reason Foundation e Ludwig von Mises Institute, fondato e diretto presso l’Auburn University dell’Alabama da Llewellyn H. Rockwell, Jr. e di cui è stato un importante animatore lo scomparso teorico dell’anarco-capitalismo Murray N. Rothbard. Ancora più fitto ed esteso è, però, il mondo libertarian "informale", dove le tematiche classiche di questa nebulosa si mescolano in maniera più fluida con la tradizione conservatrice e religiosa (esistono i Libertarians for Life, antiabortisti, e i Christian Libertarians) incontrandosi sul giusnaturalismo classico e spesso cristiano, e nelle battaglie all’insegna dello "Small is beautiful".

Dunque, l’Indipendence Institute del Colorado propugna il libero mercato e diffonde materiale sugli abusi federali (la tragedia dei Branch Davidians di David Koresh assediati dall’FBI e periti in circostanze non ancora del tutto chiarite nel ranch di Waco, nel Texas, rimane uno dei primi emblemi di questo mondo). L’Institute for Justice si preoccupa soprattutto di difendere i diritti delle persone, delle piccole comunità e delle piccole imprese nelle aule di giustizia del paese. Periodici informatici come The Anti-Statist, Liberator e Viewpoint veicolano poi dati e notizie in tempo reale.

La lotta contro la pressione fiscale è condotta da organismi come gli Americans for Tax Reform (ATR) di Grover Glenn Norquist, che, per rappresentare il movimento dei contribuenti, collabora con centinaia di altre organizzazioni attive a livello federale, statale e locale. Fra l’altro, l’ATR coordina la coalizione di sodalizi denominata Leave Us Alone, che mira a levare il cappio imposto dal governo federale sui cittadini: si tratta di associazioni di genitori, di sostenitori della libertà di educazione, di proprietari, di agricoltori, di piccoli imprenditori, di detentori di armi da fuoco. E qui s’inserisce un’altra questione assai importante.

Negli Stati Uniti, il libero possesso di armi da fuoco è garantito dal II Emendamento costituzionale. Diritto antico legato a precise dinamiche storiche del paese, oggi viene messo in discussione da più parti. Benché, dati alla mano, non sia mai stata dimostrata una diretta connessione fra la sua soppressione e la riduzione dell’attività criminale delle grandi metropoli, la pressione degli "abolizionisti" cresce. Così la National Rifle Association, sorta nel 1871, si batte in sua difesa in nome dell’ideale dell’ "Old America".

L’Americans Back in Charge Foundation punta a dare più voce ai cittadini spodestati dallo strapotere dei Palazzi. Esprime il movimento di opinione che si batte per l’introduzione di una limitazione precisi alla rieleggibilità dei membri delle strutture di governo nei suoi vari livelli; per la riforma dei criteri del finanziamento delle campagne elettorali, un problema connesso a quello della libertà di espressione; e gestisce un "osservatorio sul Big Government" per monitorare gli eccessi governativi in tema di sprechi e di abuso di potere.

Esistono dunque organismi ben strutturati, spesso vicini ad ambienti repubblicani e neoconservatori (il prodotto più visibile, non sempre più significativo, dell’era Reagan), e realtà molto più indipendenti, "populiste" e polemiche proprio nei confronti dei circoli repubblicano-neoconservatori stessi.

Fra i primi certamente va annoverato tutto l’entourage che orbita attorno a The Heritage Foundation, il noto e prestigioso think tank di Washington (un curioso insieme di esponenti dell’Establishment e di difensori di tematiche care ai suoi critici anche severi), nonché il Council of Conservative Citizens, il Tax Reform Now, The American Conservative Union, i Citizens Against Government Waste, i Citizens for a Sound Economy, la Savers & Investors League, lo Small Business Survival Committee e The National Commission on Economic Growth and Tax Reform. Collaterale è The Free Congress Foundation di Paul M. Weyrich (già esponente di spicco della New Right), a cui è collegato il canale televisivo NET, National Empowerment Television, dove opera William S. Lind. Senza scordare il popolare commentatore radiofonico Rush Limbaugh che attraversa la nazione via etere (ma anche con un paio di libri e una newsletter) grazie a network piuttosto diffusi. Né vanno tralasciate le battaglie etiche, giuridiche e politiche di The Family Research Council, di The Federalist Society, del Frontiers of Freedom Institute, dell’About the Future of Freedom Foundation, di The Heartland Institute, di The Institute for Contemporary Studies, del Center for Individual Rights, della Family Foundation, di The National Fatherhood Initiative, degli Americans for a Balanced Budget, del Center for the Defense of Free Enterprise e del Forum on Economic Freedom.

Nel secondo dei due gruppi descritti, spesso lontanissimo dal primo, sono certamente da annoverare The Committee to Restore the Constitution, forte anche di tematiche "antiplutocratiche" e di riferimenti al poeta Ezra Pound; la Fingerprint Repeal, che si batte contro i controlli sui cittadini, dalle impronte digitali ai documenti d’identità; e gli Advocates for Self-Government.

Resta comunque vero che, al di là delle organizzazioni, il grosso di questo mondo è rappresentato da piccoli gruppi informali e da singoli, e che determinate tematiche tipiche dei MAR e/o dei discendenti della New Right trovano spazio su testate e in ambienti non sempre automaticamente definibile in termini di "qualunquismo" benché ricchi di materiale di riflessione politico-culurale per i molti cittadini di Main Street in disaccordo con il "Leviatano federale".

Fra questi figurano certamente quegli intellettuali (appunto) della New Right di ieri che, critici rispetto agli esiti politici del movimento, hanno creato la cosiddetta seconda generazione della "Old Right": Samuel T. Francis, Thomas J. Fleming e Clyde N. Wilson per esempio. Il primo, per molti versi teorico dei MAR, dopo le controversie che lo hanno diviso dal quotidiano The Washington Times, pubblica The Samuel Francis Newsletter. Fleming e Wilson (il primo dirige The Rockford Institute e il mensile Chronicles: A Magazine of American Culture in cui ritornano le tematiche del movimento America First!, dell’isolazionismo, del jeffersonismo e del "populismo" da cui nasce molta della filosofia MAR) sono divenuti fra i principali protagonisti di quel movimento "neo-sudista" che costituisce oggi un ennesimo network dentro il network dell’ "uomo qualunque" nordamericano. Infine il cattolico tradizionalista e chestertoniano Joseph Sobran, che, dopo aver polemicamente abbandonato il settimanale National Review di William F. Buckley Jr. (una delle voci ufficiali della Destra americana sin dal 1955), pubblica l’affatto politicamente corretto Sobran’s. Francis, Fleming, Sobran, Wilson, Rockwell, e ieri anche Rothbard, sono alcuni di coloro che si riconoscono in circoli come il John Randolph Club il quale, pur nelle differenze dei suoi animatori, costituisce, nei suoi pregi e nei suoi difetti, una delle immagini più evocative dell’insoddisfazione del ceto medio americano e della voglia di continuità con il passato dell’ "Old America" delle libertà autentiche: in esso si ritrovano tradizionalisti cattolici, libertarian, "Old-Rightist", "sudisti", MAR e populisti. È questo uno dei volti più importanti e sconosciuti dell’America profonda di oggi.

Marco Respinti

mimi@iol.it

 

[Versione originale dell’articolo comparso in forma abbreviata

con il titolo L’uomo qualunque in versione americana,

in L’uomo qualunque, anno II, n. 15, 23-4-1998, pp. 12-13]