Intervista a Marco Invernizzi sull’evoluzione del rapporto tra 
Chiesa e mutamenti sociali

Una missione di Fede e Cultura

Marco Invernizzi, presidente dell’ISIIN, l’Istituto per la Storia delle Insorgenze e dell’Identità Nazionale, da oltre 30 anni impegnato nelle principali battaglie politico-culturali, studioso del Movimento Cattolico, è interlocutore autorevole per compiere un’analisi sul contesto storico, sociale, politico e religioso delle elezioni, sulla reale “posta in gioco”:
La caduta del Muro di Berlino e il cambiamento del sistema elettorale in Italia vanno costantemente tenuti presente per ogni analisi. Il 1989 segna una svolta epocale nella storia del mondo occidentale e in un certo senso dell’umanità. Anche se già Paolo VI, negli anni 1970, coi documenti Octogesima adveniens (1971) ed Evangeli nuntiandi (1975) sottolineava la fine della capacità di seduzione delle ideologie — addirittura denunciando il pericolo tecnocratico — col 1989 e l’implosione del sistema sovietico nel 1991, finisce definitivamente l’"assalto al cielo" tentato dall’ideologia comunista, il più compiuto e duraturo tra i sistemi ideologici dei secoli XIX e XX. Le conseguenze investono anche le forze non comuniste, in Italia la DC, che aveva vissuto politicamente di rendita, grazie alla sua proclamata indispensabilità per impedire l’accesso al potere del PCI, la famosa "diga anticomunista"; in realtà organizzando un sistema di potere consociativo fra di essa e il PCI, col quale legifererà e governerà dal 1960 in avanti. Al di là dei mutamenti politici e partitici, il 1989 ne provoca soprattutto uno radicale nella cultura politica e nell’approccio alla realtà in genere”.

Il cosiddetto crollo delle ideologie seguito a quello degli stati totalitari che le incarnavano

“Ciò non comporta il ritorno al reale ma l’egemonia di un’altra ideologia, che assume nomi diversi — "pensiero debole", relativismo, nichilismo —, che in sostanza afferma che l’uomo non può — e quindi non deve — conoscere la verità sull’uomo, sul mondo e su Dio. Le conseguenze del diverso approccio alla realtà sono particolarmente visibili nel dialogo con un giovane, che non è più anzitutto interessato a conoscere come cambiare il mondo, ma a come vivere meglio nel “suo” mondo. Il tema è di grande importanza e va tenuto costantemente presente”.

La Chiesa ha colto i cambiamenti ed adattato il suo atteggiamento nei confronti delle vicende politiche vero?

La svolta si rende manifesta soprattutto nel Convegno ecclesiale del 1995, a Palermo, quando viene sintetizzato il programma pastorale dei cattolici italiani nella formula del "progetto culturale" orientato in senso cristiano. Consiste nella presa d’atto che sono una minoranza e che la fine dell’esistenza di una società culturalmente cristiana — peraltro già evidente almeno dai referendum su divorzio e aborto nei decenni 1970 e 1980 — comporta l’assunzione di un atteggiamento missionario rivolto a mutare i criteri di giudizio dei singoli, cioè la loro cultura, affinché con essa muti anche la cultura della nazione: "il nostro non è il tempo della semplice conservazione dell’esistente — disse Giovanni Paolo II a Palermo — ma della missione". Questo rapporto fra fede e cultura, così presente in tutto il magistero del regnante Pontefice, implica una presenza diversa della Chiesa italiana nella società. Mentre fino ai primi anni del decennio 1990, ha delegato la difesa dei propri interessi nella vita pubblica, soprattutto al partito che, in qualche modo, avrebbe dovuto rappresentare i cattolici, il venir meno di quest’ultimo e la consapevolezza di essere minoranza comportano una presenza diretta, sul piano culturale, del mondo cattolico nelle sue diverse articolazioni e una forma di pressione su tutte le forze politiche affinché assumano, nei rispettivi programmi, i princìpi della Dottrina Sociale. La decisione su quali forze votare viene lasciata alla responsabilità del singolo, invitato a scegliere dopo aver confrontato i programmi  con la Dottrina Sociale naturale e cristiana”.

Tale approccio viene rafforzato dagli interventi degli ultimi tempi?

“Si, caratterizzano la prolusione del card. Ruini al Consiglio Permanente della CEI del 26-29 marzo. In essa, il presidente dei vescovi italiani ricorda l’importanza del voto contro ogni forma di astensionismo,  ribadisce che la Chiesa non si schiererà con alcuna forza, richiamando le decisioni di Palermo e in particolare il discorso del Papa. Ma ciò non legittima “una "diaspora" culturale dei cattolici, un ritenere cioè ogni idea o visione della vita compatibile con la fede, e nemmeno una facile adesione a forze politiche e sociali che si oppongano o non prestino sufficiente attenzione ai principi e contenuti qualificanti della dottrina sociale della Chiesa (cfr. il discorso del Papa a Palermo, n. 10)”. Nel comunicato finale del 3 aprile, viene indicato un "decalogo", ossia una serie di princìpi qualificanti e irrinunciabili, dalla centralità della persona al diritto alla vita, passando attraverso la famiglia, come società naturale fondata sul matrimonio, che possiede il diritto di educare i figli in modo conforme ai propri ideali. Essi ricordano l’"eptalogo" del Patto Gentiloni, quando l’UECI, Unione Elettorale Cattolica Italiana, nelle elezioni del 1913 indicò ai cattolici quei candidati che si impegnavano a sostenere pubblicamente 7 princìpi fondamentali per il bene di una società cristiana”.

Le elezioni sono percepite dalla gente come  scontro epocale paragonabile al 1948 o alle competizioni precedenti al 1989, quando il voto era chiesto da partiti ideologicamente "nemici"?

L’opinione pubblica è sempre meno attenta allo scontro politico e spesso fatica a capire le differenze fra i programmi dei partiti e delle coalizioni. Tutto sembra ridursi a un problema di potere personale, tanto che si è coniato il termine "personalizzazione della politica". Vi è molto di vero in queste osservazioni, ma manca una considerazione fondamentale e cioè che il bene comune va comunque ricercato in qualsiasi situazione. Oggi l’Italia vive sottoposta a un sistema di potere che dura dal 1996 nella versione elettorale del "maggioritario", ma che sostanzialmente perdura almeno dagli anni 1960, dall’inizio dei governi di Centro-Sinistra. Se questo sistema di potere dovesse venir premiato dagli elettori, rischierebbe di perpetuarsi per molti altri anni, mettendo a repentaglio ogni ipotesi di restituzione alle famiglie della loro centralità sociale e politica, la riforma federalista dello Stato, la fine della persecuzione fiscale, la libertà di scegliere la scuola da parte dei genitori e così via. Se invece il Centro-Destra dovesse vincere le elezioni, potrebbe essere messo alla prova un modo di governare diverso — così almeno dicono le dichiarazioni pubbliche programmatiche — da quello che ha infierito sulla società per almeno 40 anni”.

 

Articolo uscito su Secolo d’Italia pagina 17 “Idee & Immagini”  n° 113
anno
L  DOMENICA 13 MAGGIO 2001