Glosse
e aforismi di Nicolás Gómez Dávila
Un
cattolico reazionario demolisce i falsi miti progressisti
La
cultura vera non è politicamente corretta.
“Il reazionario non è il sognatore
nostalgico di passati conclusi, ma il cacciatore di ombre sacre sulle
colline eterne. Ogni fine diverso da Dio ci disonora. Quel che non è
religioso non è interessante”.
Chi oggi ha il coraggio di pronunciare e scrivere frasi del genere? Di
tirarsi addosso gli strali dei tanti “tribunali del popolo” animati
dagli epigoni “occidentali” di Andreij Zdanov (il “cekista del
pensiero”, custode
dell’ideologia nell’URSS del 1930-’40), che pretendono di
giudicare ed autorizzare ciò che è “corretto” appunto, dire,
scrivere, persino pensare? Nicolás Gómez Dávila; un nome che non dirà
nulla allla stragrande maggioranza dei lettori dato che solo da
pochissimi anni viene proposto all’attenzione del pubblico. Nell’
area geografica e culturale iberoamericana, il colombiano Nicolás Gómez
Dávila, esponente a più titoli “monastico” della cultura
cattolica, è senza dubbio uno dei più originali e, al tempo stesso
“classico”, dei pensatori. Nasce il 18 maggio 1913 a Cajicá, nel
dipartimento di Cundinamarca, di cui è capoluogo la capitale Santa Fe
de Bogotá, da una famiglia di commercianti e proprietari terrieri e
chiude la propria esistenza terrena il 17 maggio 1994 nella sua
“fortezza-biblioteca” (oltre 40 mila volumi), in un quartiere tipico
della città sull’altopiano. Finalmente è disponibile da marzo
l’impegnativa traduzione italiana – a Lucio Sessa il plauso di aver
reso bene il senso del pensiero di Gómez -
nella “Piccola Biblioteca”, n° 459, di Adelphi, di
“In margine a un testo implicito”
(Milano, 192 pagine, L. 20.000, 10,33 euro) circa
un migliaio di “escolios”,
cioè glosse, aforismi,
commenti lampo, che rimandano ad un fantasmatico “testo maggiore” su
cui è il caso di ritornare. Curato
in maniera egregia da uno dei suoi due “scopritori” italiani,
Franco Volpi, “In
margine a un testo implicito”
raccoglie solo una minima parte degli escolios,
usciti in più volumi in Colombia fra il 1977 e il 1992. Perché è
dunque importante ed interessante l’opera di questo –
all’apparenza – eccentrico, “gentiluomo vecchio stampo“, vissuto
come un “certosino” in città e che scaglia i suoi apodittici
giudizi contro, e su, tutto e tutti? Accennavamo prima al prof. Volpi
come uno dei soli due “esploratori” italiani” del vasto e
misconosciuto, ma fertile “territorio”, costituito dallle idee e
dall’enciclopedica cultura del
solitario signore ispanofono; infatti oltre ai contributi di taglio
scientifico non privo di ammirazione, nella nostra lingua del Volpi
stesso (nella rivista “surplus” n°
4, anno I° del 1999 e nel Dizionario delle opere
filosofiche , Bruno
Mondadori, Milano, 2000), vanno
citati quelli di Giovanni Cantoni, molto più affine a Gómez Dávila
per fede e impostazione ideale, che
già ne presentava una scintillante antologia di anticonformistiche
riflessioni, “Il vero reazionario”
(Traduzione redazionale da
El reaccionario auténtico. Un ensayo inédito, in Revista
Universidad de Antioquia, n. 240, Medellín aprile-giugno 1995, pp. 16-19) nella
rivista che dirige Cristianità,
anno XXVIII, n° 287-288, marzo-aprile 1999; poi nel maggio 1999
ne scriveva sul Secolo d’Italia; a
febbraio 2000 in
Percorsi di politica, cultura, economia, anno
IV, n. 26, Roma, pp. 45-48 con un’Antologia
daviliana e una Bibliografia
sommaria e nel marzo-aprile 2000 ancora su
Cristianità,
n° 298, anno XVIII, pagine 7-16, con l’approfondita analisi
“Un contro-rivoluzionario cattolico
iberoamericano nell’età della Rivoluzione culturale: il “vero
reazionario” postmoderno”. Questo
il senso più vero e profondo di cos’è e cosa rappresenta - e perché è importante ed intrigante – il
“certosino” che trascorreva il tempo in “tertulias”
(chiacchiere) coi pochi amici ed in letture delle opere fondamentali e
non, del sapere tradizionale greco, latino, cristiano, medievale,
contemporaneo. Un modello di organizzazione e presentazione della
cultura adatto alla condizione postmoderna, quindi rapida, “in
frammenti”; pillole di saggezza millenaria ed ironia,
pronti per esser compresi
anche dalle generazioni cresciute con radio, tv, computer. Con un solido
– ed esplicitato al massimo grado – radicamento cattolico che lo
porta a definirsi “reazionario” vero. Nelle recensioni uscite sinora
al testo dell’Adelphi, Emanuele Severino sul Corriere della Sera ha
colto quest’aspetto cruciale quando afferma “…Non
mi sembra che vi siano dubbi: “In margine a un testo implicito” è
la sua visione cattolica del mondo”
(domenica 8 maggio 2001 pagina 31 “Cultura”).
E d’altronde bastano
poche - purtroppo lo spazio è tiranno
- citazioni, per confermare pienamente la lettura cattolica e reazionaria
“postmoderna” dell’erede della mgliore tradizione iberica.
“Lo scrittore reazionario deve rassegnarsi a una celebrità discreta,
dal momento che non si può ingraziare gl’imbecilli. Non appartengo a
un mondo che perisce. Prolungo e trasmetto
una verità che non muore. Contro lo svuotamento moderno del
mistero affermiamo la sua presenza inglobante. Esser reazionario
significa voler estirpare dall’anima perfino le ramificazioni
più remote della promessa del serpente. Quel che non è
religioso non è interessante. La Reazione comincia a Delfi. La Reazione
è cominciata con il primo pentimento, la reazione esplicita comincia
alla fine del secolo XVIII; ma la reazione implicita comincia con
l’espulsione del diavolo, essere reazionario significa capire che
l’uomo è un problema senza soluzione umana. Verità è ciò che gli
imbecilli rifiutano. Il passato che il reazionario loda non è epoca
storica ma norma concreta. Solo la sottomissione a Dio non è vile.
L’unica precauzione sta nel pregare in tempo”. E’
questo il suo testo implicito.
Articolo uscito su Il
CORRIERE DEL SUD pagina 39
“Libri” Anno X n° 13 15 – 31
LUGLIO 2001
con lo stesso titolo
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