Scuola: La riforma nelle
mani di burocrati di formazione marxista.
L’obiettivo
è un egualitarismo innaturale e dannoso. L’opinione di Andrea Caspani
Andrea
Caspani, docente di storia e filosofia, direttore di Linea-Tempo,
una delle poche (e serie) riviste di didattica, critica ed analisi
storica esistenti, è osservatore privilegiato dei problemi epocali
dell’educazione.Ci offre uno sguardo singolarmente acuto sul disastro
che si sta abbattendo sulle scuole, in particolare mette a nudo le
radici ideologiche alla base delle elucubrazioni dei “nuovi
didatti”, i consiglieri dei ministri Berlinguer e De Mauro.
Soprattutto riguardo ai programmi di storia si preoccupa delle
implicazioni metodologiche riferite alla concezione dello scorrere degli
avvenimenti che andrebbero insegnati
nel senso di un “eterno presente”. “Viviamo
in un contesto culturale in cui c’è alle spalle quello che potremmo
chiamare, con le parole di Del Noce, “un nichilismo gaio”, visione
in cui è azzerato il riferimento alla Tradizione, ad una prospettiva
che vada oltre la cosiddetta autosufficienza del presente, quindi
paradossalmente viene negato sia il riferimento al passato che
l’aspettativa di un futuro diverso da quello della società attuale.
Siamo in un’epoca per dirla con Pasolini di “omologazione di
massa”, conformismo di massa. Questo fatto si ripercuote pesantemente
sui ragazzi perché indubbiamente vengono invitati a guardare soltanto
gli elementi della cultura e dell’istruzione che possano essere,
vitalisticamente, utilitaristici. C’è in sottofondo alla nostra
cultura un atteggiamento che non favorisce la formazione culturale nella
scuola e questo è il primo elemento che contrasta con la possibilità
di un’adeguata formazione storica”.
Possiamo dire che il metodo didattico e di approccio pedagogico si adegua
all’ambiente circostante dominante, quello determinato da cinema e tv,
che ha proprio tale prospettiva “hollywwoodiana”, non esistono
passato e futuro ma si deve vivere “giorno per giorno”?
“Direi
che questo è il grande problema dell’oggi; che mentre si constata –
e lo dico da insegnante e come punto di riferimento, con Linea-Tempo,
che interagisce con docenti universitari, delle superiori, medie ed
elementari (o scuola di base come pretende la riforma) – una progressiva difficoltà
nell’approccio formativo coi ragazzi, si assiste ad un profluvio di
innovazioni ministeriali, di progetti e addirittura di riforme come
appunto la nuova scansione dei programmi di storia che vanno in
direzione (lo argomenta Lucio Russo del sodalizio Prisma) “di un’americanizzazione
della scuola” ma senza i correttivi che la scuola americana ammette,
come un certo pluralismo. In tal senso americanizzazione significa
cedere al conformismo del presente; trasformare la scuola in
deconcettualizzata, che non fornisce più la possibilità di maturare
metodi critici, concettualizzazione teorica ma mira a consegnare
competenze tecnico-pratiche. Questo purtroppo avviene sull’esplicito
invito degli “esperti” ministeriali. Nel caso concreto,
sull’appoggio che han dato i ministri ai cosiddetti “nuovi didatti
della storia”, che separano la storia dall’insegnamento di contenuti
ed eventi, che sono, di fatto, l’oggetto specifico della storia. Per
dirla con Paul Vain “è
un racconto di avvenimenti”. Invece per loro deve servire a
maturare capacità metodologiche, linguistiche, concettuali, tipo
costruire “mappe concettuali”, “percorsi tematici che
attraversano i secoli”; senza però esser capaci di
contestualizzare adeguatamente –
se non sbaglio, sembrano cascami di sociologismo sessantottino “andati
a male” –
“Infatti il rischio è questo, trasformare la storia in
qualcos’altro: o sociologia storica, e sarebbe qualcosa che avrebbe un
minimo di dignità culturale, o ancor peggio diciamo così, rischia di
diventare strumento per “altro”. Che può essere di volta in volta
la “conservazione della memoria” però politicamente corretta, o ben
peggio, per non parlare di ciò che dà fastidio, di cui si deve tacere
– il
famoso “divieto di fare domande” dei dissidenti antisovietici degli
anni 1970-’80 –
“Esatto, solo che stavolta è ottenuto in forma “soft” e
d’altronde lo aveva già detto de Tocqueville nel suo profetico “La
democrazia in America”, nella 2ª parte, quando scriveva che in fondo
anche un sistema democratico verso cui il mondo – giustamente, da un
certo punto di vista - doveva andare, non avrebbe evitato il problema
della responsabilità morale e culturale delle persone perché anche in
democrazia c’è il rischio del conformismo. Di un’acquiescenza da
gregge, verso quel che vuole il Potere”
Allora
più che di “guerra” sulle interpretazioni storiografiche – delle
quali si dovrebbe comunque parlare perché ad esempio, Del Noce, Furet,
e per il Medioevo, Pirenne, Huitzinga, Marc Bloch,
la Pernoud, non si citano e non si usano per i programmi e i
testi – il panorama che abbiamo di fronte è in “stile” 1984,
Grande Fratello? Quello vero, di Orwell naturalmente. Ma forse, più che
il 1984 del “chi controlla il presente controlla il passato”
(e il futuro) che rappresenta una fase “tecnologico-politica” in
parte superata, siamo al “Padrone del Mondo” di Robert Benson, o al
film di fantascienza del 1975 “La fuga di Logan” che narra di un
mondo post-catastrofe in cui si vive solo fino a 25 anni e poi si viene
“suicidati” mediante un inganno travestito da gioco astrologico
(notare bene) di “rigenerazione”. Benson immaginava le “cliniche
per l’eutanasia” e quasi ci siamo. Il clima non è forse simile? Un
azzeramento complessivo dello scorrere naturale della vita, della memoria, del costruire insieme per le
generazioni. E tralasciamo Aldous Huxley e il suo “Mondo nuovo”,
perché fecondazione in vitro e clonazione sono roba da elementari (ex)
ormai. “C’è
un’attenzione verso questo “mondo nuovo”, questa categoria
“nuova” che sono i giovani, formatasi nelle società occidentali con
la scolarizzazione di massa degli anni 1950-’60 e c’è il tentativo
di trasformarli in eterni adolescenti, affidati ad un benevolo custode
che è lo Stato, il Potere attuale, che non va disturbato. Secondo il
principio classico di tutte le dittature ma in una forma soft perché ai
ragazzi vien data una prospettiva non ideologica ma produttivistica –
non va più di moda la Rivoluzione messianica, sovietica, maoista –
siamo alla “fordizzazione della vita”. Da un certo punto di vista il
discorso è diverso in questo senso, si permette che i ragazzi facciano
quello che vogliono, soprattutto sul piano dei diritti individuali, per
cui in tutte le scuole c’è “tolleranza zero” per chi fuma, invece
è difficilissimo intervenire sui problemi di violenza dei gruppi
organizzati a danno di qualcuno più debole oppure dell’uso delle
droghe. Ecco, c’è massima tolleranza sui “diritti individuali”,
incitamento per l’apprendimento di nozioni utili sul piano pratico,
delle competenze adatte ad inserirsi in questa società omologata dalla
globalizzazione, bisogna dirlo, stare attenti e “certi” programmi
ministeriali sono pericolosamente simili a “certi” progetti di
settori dell’attuale opposizione. Al di là dell’uso di computer,
mass-media, strumenti tecnologicamente avanzati da inserire nella
didattica, quel che conta è “altro”. Quel che si dimentica è che
dev’essere una scuola formativa, che faccia maturare personalità
critiche. In una delle più famose editrici di Sinistra, la Bruno
Mondadori, han dato spazio ad uno dei più autorevoli “didatti della
storia”, amico e sponsorizzato dal Ministero, Antonio Brusa, che ha
scritto un testo per i Professionali, ha editato anche una guida per
docenti, in cui è detto espressamente che il compito del singolo
professore è di seguire il libro di testo. In Linea-Tempo un docente dimostra come
utilizzare l’analisi della Rivoluzione francese, fatta dal Desideri
(certamente col Camera-Fabietti fra i testi più decisamente orientati e
faziosi), per dimostrare i presupposti metodologici di
quell’interpretazione e, dunque, i suoi limiti. Il libro è sempre
insomma, funzionale all’insegnante; certo
il desiderio sarebbe di determinare dei criteri, avere più
diffusamente testi che servano ad una scuola formativa. Il problema di
fondo è la riscoperta della centralità del ruolo dell’insegnante;
non è un caso che si mette in atto una riforma in cui il docente è
ridotto al ruolo di “facilitatore di apprendimento”. Ruolo superfluo
ovviamente, mentre va rivalutato l’insegnante come colui che “fa
segno”, di qual è il cammino; e realizzare una vera autonomia
perché se non si riesce ad avere la possibilità di un
approfondimento autonomo per gruppi di insegnanti,
di quali sono i materiali e le metodologie da usare, si realizza
una finta autonomia che in realtà trasferisce il centralismo statale in
tanti piccoli soviet di provincia e quartiere
– e
guarda caso come in URSS c’era il mitico “Piano Quinquennale” al
Ministero della P.I. c’è il ”Piano per tutte le scuole”. Com’è
possibile progettare ed applicare un piano identico per le migliaia di
scuole, notoriamente alle prese con realtà diversissime, di
tutt’Italia?
–
“Appunto già il nome dato dal Ministero alla riforma “Piano
quinquennale” è molto preoccupante e devo dire che una delle poche
strade aperte per noi docenti è la riappropriazione di un’autonoma
dignità del nostro lavoro. Questo è ciò che muove tanti ad andare
contro le iniziative del Ministero e del sindacato più filogovernativo
la Cgil. Così come vorrei sottolineare un aspetto preoccupante per la
storia: è il tentativo di Ministero e “nuovi didatti”, di imporre
una metodologia unica di insegnamento della storia in tutte le scuole.
Come scriveva Lucio Russo mesi fa su Linea-Tempo, quando si studiava la storia sui
contenuti, si poteva sempre operare una revisione, un approfondimento,
un miglioramento ma quando si deve usare un identico metodo, è molto più
forte il rischio del pensiero unico. Questo è il rischio per la storia
che, di per sé, in quanto disciplina che consente di confrontare il
presente col nostro passato, è uno stimolo alla libertà”.
Articolo uscito su Percorsi n° 39 anno V
Marzo 2001 pagine 10 – 11
con lo stesso titolo
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