Considerazioni sullo sciopero della banca Carime Segnale
inequivocabile da Banca Carime: uno sciopero che si deve definire
davvero, in “sindacalese”, compatto e pienamente riuscito ed una
manifestazione così difficile – dal Sud a Milano sede della
capogruppo ComIndustria, un viaggio di oltre 13 ore, clima rigido,
strade in condizioni disagiate (su 5 pullman, 2 partiti da Cosenza, 2 da
Bari, uno da Salerno e dalla Basilicata, organizzati dalle “Segreterie
di Coordinamento di Banca Carime” di Fabi, Falcri, Fiba Cisl, Fisac
Cgil e Uilca Uil)
- che raccoglie una buona partecipazione, anche delle RSA
lombarde, e registra persino momenti di scontro fisico
(l’amministratore di Carime Bizzocchi, attaccato dal corteo). Una
delle categorie più tranquille e “borghesi” del mondo del lavoro
– i bancari, quintessenza dell’impiegato “grigio”, poco incline
alla lotta -
si scopre tanto arrabbiata da dar vita ad un’azione di protesta
in stile “autunno caldo” fine anni 1960, con tanto di colorato e
creativo corteo e dura reazione – spintoni, insulti e forse pure
qualche schiaffo -
alla provocazione della “voce del padrone”, in questo caso
l’amministratore Franco Bizzocchi che “attraversa” la folla dei
manifestanti per entrare nella direzione del Gruppo e dopo circa 15
minuti esce e si ripresenta ai lavoratori che gridavano slogan anche e
soprattutto contro di lui. I più vicini, esasperati
dall’atteggiamento di sfida, lo spintonano, Bizzocchi cade e viene
“salvato” da robusti poliziotti che lo trascinano di peso in
macchina (un buontempone fra gli scioperanti giura di avergli tirato le
orecchie). Ma a parte queste note, quasi “di colore”, il segnale su
cui riflettere è quello della rabbia, sinora repressa, del personale
della più grande banca meridionale, che esplode in diversi modi:
innanzitutto con la partecipazione allo sciopero, superiore ad ogni
aspettativa (vista l’assemblea in sottotono di giovedì a Cosenza):
71% di adesione fra Calabria, Puglia, Basilicata e Salerno, pochissimi
sportelli aperti: solo il 16%, 49 su 325, (6 a Cosenza, una dozzina fra
Catanzaro e Reggio, 3 a Salerno, 28 fra Puglia e Basilicata); in
sciopero persino il 30% dei direttori di filiale, a dimostrazione di uno
stato di malessere e frustrazione che coinvolge anche le fasce
dirigenziali e con maggiori responsabilità, come rimarca la segreteria
del sindacato Fabi. E col corteo a Milano: oltre 300 lavoratori, che
sostenevano le rivendicazioni dei 3600 dipendenti di Carime, hanno
sfilato per più di un chilometro dal castello Sforzesco a via Moscova,
sede del Gruppo Comindustria, rafforzati dalla solidarietà delle
delegazioni di bancari, circa 150, della Lombardia, di Bnl, Intesa,
Banco di Napoli, “no global credito”, della stessa Comindustria, dai
segretari nazionali Francesca Furfaro della Falcri e Matteo Valenti
della Fabi.
Striscioni, bandiere, trombe, slogan contro Bizzocchi – “chi
comanda in Carime è Chris” (il cane dell’amministratore), “per
noi manager jogging, per gli altri mobbing” - e la vicedirettrice
Botton (“è arrivata la gestapo”), si distingueva in prima fila il
veterano Mario Intrieri, una vita in banca, ormai per i colleghi la
“memoria storica di Carical” sempre tranquillo e posato,
“armato” di tromba da ultrà e videocamera digitale. Ma ora, per i
sindacati innanzitutto, per tutta la società meridionale e per i
politici, si impone una riflessione seria ed urgente. Perché le
ristrutturazioni in tutti i settori penalizzano il Sud? Perché le
banche meridionali vengono “colonizzate”? Carime servirà solo a
rastrellare somme ingenti da trasferire poi al Nord per gli impieghi? La
politica, va detto con franchezza, sembra
afasica rispetto alla necessità di un impegno lucido e
consapevole per risanare e rilanciare l’economia del Mezzogiorno. La
Calabria poi, sia nei parlamentari che nei regionali, si rivela
ininfluente ed irrilevante. Anche i sindacati nazionali debbono
interrogarsi sui rischi di apparire inefficaci, incapaci, di dare
risposte concrete alle disperate richieste di intervento dei lavoratori.
Così come le “controparti aziendali” debbono comprendere i pericoli
dell’annullamento delle mediazioni sindacali e di conseguenti
esplosioni incontrollate di protesta sociale.
|