INCONTRO SU

"La presenza islamica in Italia: quali problemi?"

promosso da Alleanza Cattolica (ore 18.30, Sala Consiliare del Comune)

sabato 27 gennaio 2001 - Crotone

 

Comunicato

A Crotone, sabato 27 gennaio alle 18.30, organizzato dall’associazione civico-culturale Alleanza Cattolica presso la Sala Consiliare del Comune, si terrà un incontro su un tema quanto mai importante ed attuale per i suoi molteplici significati sociali, giuridici, religiosi, politici e, soprattutto, di convivenza quotidiana che coinvolge ormai praticamente tutte le comunità cristiane e l’intera società civile, "La presenza islamica in Italia: quali problemi?". Il complesso e delicato argomento sarà approfonditamente analizzato da Giovanni Cantoni, direttore della rivista Cristianità. e vedrà la presenza di esponenti delle Istituzioni, col Sindaco prof. Pasquale Senatore, che porterà un indirizzo di saluto e con S.E. Rev.ma Mons. Andrea Mugione, Arcivescovo di Crotone-S.Severina che trarrà le conclusioni

L'incontro sarà moderato dall'avv. Giancarlo Cerrelli, responsabile provinciale di Alleanza Cattolica.

Nel corso dei lavori verrà presentato il documentatissimo volume di Giovanni Cantoni "Aspetti in ombra della legge sociale dell'islam. Per una critica della vulgata "islamicamente corretta"", con prefazione di Khalil Samir Khalil, edito dal Centro studi "A. Cammarata", S. Cataldo(Caltanissetta).

Per informazioni Giancarlo Cerrelli 0335/477176 – 0962/24487 – email: giancerre@tin.it



Resoconto della conferenza

Dopo i saluti del sindaco, ha fatto seguito la presentazione dell’incontro da parte dal responsabile provinciale di Alleanza Cattolica, l’avv. Giancarlo Cerrelli, il quale, fra le altre cose, ha ricordato un’affermazione del gran mufti di Beirut Husayn ‘Abd al-Râzic Quwatli: "Vi è una posizione chiara in Islam: il musulmano non può avere un atteggiamento indifferente di fronte allo Stato e, ipso facto, ammettere le mezze soluzioni a proposito di chi dirige il potere. O chi dirige è musulmano e il potere anche, allora è soddisfatto e lo approva; oppure chi dirige non è musulmano e il potere non è islamico, allora lo rifiuta, gli si oppone e opera per sopprimerlo con la dolcezza o con la forza, apertamente o in segreto. Questo atteggiamento deriva da un principio fondamentale dell’Islam".

Ha poi avuto inizio l’intervento di Giovanni Cantoni (responsabile di Alleanza Cattolica) di cui riporto una sintesi.

RELAZIONE DI CANTONI

Su questo argomento non circola un’informazione né quantitativamente né qualitativamente adeguata. Quando sentiamo parlare di Islam, a qualcheduno vengono in mente con occhio porcino le urì , a qualcedun’altro la poligamia. I problemi in realtà sono seri e non si possono affrontare con risposte di basso profilo folkloristico. Non solo i problemi esistenti sono seri ma ancor più in prospettiva. Il regnante pontefice, 16 anni fa diceva ai partecipanti al VI Simposio del consiglio delle conferenze episcopali d’Europa: "La denatalità e la senescenza demografica non si possono ormai più ignorare e ritenere come una soluzione al problema della disoccupazione. La popolazione europea, che nel 1960 costituiva il 25% della popolazione mondiale, se dovesse continuare l’attuale tendenza demografica, scenderebbe alla metà del prossimo secolo al livello di un 5%. Sono cifre che hanno indotto qualche responsabile europeo a parlare di un suicidio demografico dell’Europa. Se questa evoluzione costituisce una fonte di preoccupazione, per noi lo è soprattutto perché, osservata in profondità, essa appare come il grave sintomo di una perdita di volontà di vita e di prospettive aperte sul futuro e ancorpiù di una profonda alienazione spirituale. Per questo non dobbiamo stancarci di dire e di ripetere all’Europa: ritrova te stessa, ritrova la tua anima".Questo è il quadro di fondo sul quale noi dobbiamo cominciare a riflettere. Ci troviamo di fronte ad un suicidio demografico. Quando si smette di sperare, si smette di avere proiezione anche demografica. Il quadro diventa desolante [Esempio della torta da dividere: se paragoniamo le risorse di un paese ad una torta, non è vero che diminuendo il numenro di abitanti, ognuno ne può prendere una fetta maggiore, perché anche la torta diminuisce!]. Nel 1999 l’ISTAT faceva delle proiezioni relativamente alle due prossime generazioni, base i dati del 1996, e diceva che nel 2050 vi è un’ipotesi di riduzione della nostra popolazione di quasi 20 milioni di abitanti. Il dato certo è che comunque si va in discesa. Ricordo che la previsione del demografo entro una generazione è assolutamente scientifica, entro due generazioni ha un tasso di affidabilità straordinariamente elevato. Inoltre, se consideriamo l’età lavorativa, il vuoto riguarderà 16 milioni di soggetti! La classe politica attuale fronteggia delle emergenze, amministrando l’esistente. Il politico dovrebbe essere invece un uomo che cerca di amministrare non solo l’esistente ma il prevedibile. Nel 1982 la commissione demografica europea del Consiglio d’Europa sulla situazione italiana scriveva: "Da qualche anno si è verificato un flusso inatteso di stranieri. Quest’ondata è costituita da studenti, da domestici, da manodopera non specializzata, da venditori ambulanti, da stagionali e così via. Il nuovo status è incerto e marginale, talora illegale, il loro numero sempre in aumento: si avanza l’ipotesi generalmente di un minimo di 300 unità e di un massimo di 700 mila. Una tale presenza concentrata nelle grandi città può solo provocare tutta una serie di problemi dolorosi, che vanno dalla miseria e dallo sfruttamento, alla criminalità e al razzismo". E’ una legittima previsione che rimanda a un problema serio, da affrontare in tutti i suoi aspetti, in radice.[Esempio della disoccupazione culturale: molti italiani, per esempio i neolaureati, non si adattano di fronte alle varie opportunità lavorative, per cui non farebbero mai un lavoro manuale, oppure difficilmente si sposterebbero dalla loro provincia di residenza]. Nel 1988 la pontificia commissione Iustitia et Pax, in un documento dal titolo inequivoco La Chiesa di fronte al razzismo, per una società fraterna scriveva:"Spetta ai pubblici poteri che sono responsabili del bene comune di stabilire qual è la proporzione di profughi o di immigrati che il loro paese è in grado di accogliere, tenendo conto delle possibilità di occupazione e delle sue prospettive di sviluppo. Lo stato deve garantire che non si creino situazioni di squilibrio grave, accompagnato da fenomeni sociologici di rifiuto che possono aver luogo quando la presenza di un gruppo troppo vasto di persone di un’altra cultura viene percepita come una diretta minaccia all’identità e alle abitudini della comunità locale". Mi chiedo: chi l’ha letta: sicuramente non quelli che hanno fatta levata di scudi contro le stesse dichiarazioni fatte dal cardinale Biffi.

Il loro arrivo prevede problemi. Il problema dell’immigrazione riguarda più il futuro che il presente, dal momento che la presenza islamica in Italia non ha confronti con quella negli altri paesi europei più importanti. I dati ISTAT sono: nel 1998 1.250.000 immigrati sul territorio nazionale; di origine musulmana circa 520.000; in Francia, su una popolazione di base uguale alla nostra, i musulmani sono 2.800.000 persone. Nel Regno Unito 1.400.000. Da noi il problema è all’inizio: si può ancora affrontare. Ma come? Sono cultore di dottrina sociale della Chiesa (non un islamologo). Negli anni ’90 sono andato a Mazara del Vallo dove su 60.000 abitanti 12.000 sono tunisini. Se oggi i tunisini tornassero a casa, la nostra flotta di pescherecci dovrebbe chiudere! Anche per l’agricoltura siamo nelle stesse condizioni. E’ chiaro allora che, in questa situazione, se uno deve chiamare una colf, ne chiede le referenze: nessuno si mette in casa una persona senza sapere chi è. Nel maggio dello scorso anno, la CEI ha pubblicato una lettera di collegamento, segreteria per l’ecumenismo e il dialogo, tutta dedicata al tema dei matrimoni misti. Il padre Borrmans, esperto della materia, dice: "consiglio alla parte cattolica di fare prima un viaggio nel paese del futuro coniuge per evitare troppe sorprese…". Per noi invece si tratta del problema di una convivenza rilevante. Ho allora fatto un viaggio ‘cartaceo’. Ebbene, mi sono reso conto che nei molti testi consultati non vengono dette delle cose rilevantissime. La prima è la totale coincidenza tra prospettiva religiosa e prospettiva politica nel mondo musulmano. Noi siamo vissuti, laicisti compresi, nella prospettiva del "dai a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio". Certo c’è stato il problema dell’interferenza del religioso sul politico e viceversa, ma mai di principio. Nel caso dell’islamismo, i termini sono invece coincidenti: un intellettuale tunisino, Mohamed Talbi, (docente di storia medievale araba ecc. ecc.) dice: "l’Islam è una religione politica". Per l’Islam la conquista del potere è decisiva. Per gli islamici, solo uno stato islamico permette la vita. Dobbiamo quindi tener conto che per l’atteggiamento islamico politica e religione coincidono. Questa coincidenza ha una conseguenza: dove il governo è islamico, i non islamici sono cittadini di seconda categoria. Domanda lecita: ma chi comanda nell’Islam? Un grandissimo islamologo italiano (morto nel 1938) di origine ebraica David Santillana (i cui testi sono utilizzati nelle università islamiche) dice: "di fronte all’Islam, il più rigido dei protestantesimi è una religione rituale e gerarchica". Voi dovete quindi immaginare un rapporto stretto, secco, inamovibile tra il fedele e il Corano: non c’è nessuna mediazione e nessuna autorità religiosa. Non gli si può chiedere: il vostro papa come si chiama? Semplicemente non esiste per l’Islam, con il risultato che anche quando si legge sul giornale del ‘dialogo islamo-cristiano’ non si tratta di altro che di qualche cattolico che ha fatto quattro chiacchere con un musulmano il quale non è in grado di impegnare nessun altro oltre a se stesso. In Francia, il governo si è addirittura inventato le autorità islamiche: ‘il consiglio degli imam di Francia’ e li ha eletti lui!

Un altro elemento pressocché assente dalla stampa divulgativa è che non ci si può convertire dall’Islam, nel senso che la cosa presenta delle difficoltà. Un islamologo famosissimo (padre Jacques Jomier O.P.) dice: "Una tradizione molto conosciuta nel Medioevo diceva che è vietato versare del sangue di un musulmano cioè ucciderlo eccetto che in tre casi: il sangue del musulmano che ha ucciso un musulmano, quello dell’adultero e quello di un musulmano apostata. Quest’ultimo punto è rimasto in vigore fino al secolo scorso (il XIX)". Ma il codice penale della repubblica del Sudan (che è del 1991), articolo 126, comma 2, prevede che "chi commette il delitto di apostasia è invitato a pentirsi in un tempo determinato dal tribunale. Se persiste nell’apostasia e non si è convertito di recente all’Islam, sarà punito con la morte". In Mauritania (il cui codice penale è del 1984) si prevede la stessa pena per l’apostasia estesa anche a "ogni musulmano maggiorenne che rifiuta di pregare, pur riconoscendo l’obbligo della preghiera". La cosa che importa sottolineare è che questo fa parte del giro mentale di un determinato mondo. Non ho l’intenzione di criminalizzare nessuno, ma solo di dire ‘quando vi scegliete un compagno di strada pensateci due volte’. Nella sura ottava del Corano (7,55-60) si legge:

7. Allorquando il Dio vi faceva promessa di concedervi una delle fazioni in arresa voi bramavate di impadronirvi di quella ch’era disarmata, mentre il Dio intendeva manifestare la Verità per mezzo del suo Verbo e sterminare i kafiruna [i miscredenti] fino all’ultimo.

. . . . .

55. Gli esseri viventi peggiori al cospetto di Dio soni i kafiruna: non crederanno mai!

56. Con essi tu avevi stipulato alleanza che poi non mantengono in nessuna occasione, e non temono il Dio.

57. Se li incontri alla guerra, serviti di loro per disperdere quelli che vengon dopo di loro. Forse ci ripenseranno.

58. Se temi d’essere tradito da una popolazione, rifiutane l’alleanza, le renderai la pariglia. Non ama, il Dio, i traditori.

59. I kafiruna non nutrano speranza di strafare contro di noi: non prevarranno mai!

60. Preparatevi alla lotta contro di essi, preparate tutto ciò che trovate di forze e di cavalli per spaventare il nemico del Dio che è anche il vostro, e altri nemici che non vi sono ancor noti oltre a quelli (ma li conosce il Dio assai bene!). Tutto ciò che avrete speso sul sentiero del Dio vi sarà restituito, non sarete affatto danneggiati.

[tratto da Il Corano, Oscar Classici Mondadori]

Una delle componenti del bene comune è l’ordine pubblico: se prendo due persone che so’ per certo che litigheranno e le metto insieme non sto’ perseguendo il bene comune. [Esempio della moglie e della suocera: se si sa’ che non vanno d’accordo è meglio tenerle separate e questo per il bene di entrambe]. Il pontefice dice [citazione tratta dal messaggio per la giornata mondiale della pace, 1 gennaio 2001] : "Si tratterà allora di coniugare l’accoglienza che si deve a tutti gli esseri umani, specie se indigenti, con la valutazione delle condizioni indispensabili per una vita dignitosa e pacifica per gli abitanti originari e per quelli sopraggiunti. Quanto alle istanze culturali, di cui gli immigrati sono portatori, nella misura in cui non si pongono in antitesi ai valori etici più universali, insiti nella legge naturale, e ai diritti umani fondamentali, vanno rispettate e accolte. Più difficile è determinare dove arrivi il diritto degli immigrati al riconoscimento giuridico, pubblico di loro specifiche espressioni culturali che non facilmente si compongono con i costumi della maggioranza dei cittadini. La soluzione di questo problema, nel quadro di una sostanziale apertura, è legata alla concreta valutazione del bene comune in un dato momento storico e in una data situazione territoriale e sociale; molto dipende dall’affermarsi negli animi di una cultura dell’accoglienza, che senza cedere all’indifferentismo circa i valori, sappia mettere insieme le ragioni dell’identità e quelle del dialogo. D’altra parte, come ho poc’anzi rilevato, non si può sottovalutare l’importanza che la cultura caratteristica che un territorio possiede per la crescita equilibrata, specie nell’età evolutiva più delicata, di coloro che vi appartengono fin dalla nascita. Da questo punto di vista, può ritenersi un orientamento plausibile quello di garantire a un determinato territorio un certo equilibrio culturale in rapporto alla cultura che lo ha prevalentemente segnato, un equilibrio, che pur nell’apertura alle minoranze, nei rispetti dei loro diritti fondamentali, consenta la permanenza e lo sviluppo di una determinata fisionomia culturale, ossia di quel patrimonio fondamentale di lingua, tradizioni e valori che si legano generalmente all’esperienza della nazione e al senso della patria. E’ evidente però che quest’esigenza di equilibrio, rispetto alla fisionomia culturale di un territorio, non può essere soddisfatta con puri strumenti legislativi. Questi non avrebbero efficacia se privi di fondamento nell’ethos della popolazione e sarebbero oltretutto naturalmente destinati a cambiare quando una cultura perdesse di fatto la capacità di animare un popolo e un territorio, diventando una semplice eredità custodita in musei o monumenti artistici e letterari".

Il futuro è vicino e bisogna che i nostri responsabili provvedano, tenendo conto di questi elementi. Noi possiamo rovesciare volontariamente quella prospettiva secondo cui la minoranza in mezzo a una maggioranza eterogenea riscopre la propria identità. Potremmo allora far sì che la maggioranza, di fronte a una minoranza omogenea, riscopra la propria identità.