Articolo apparso sul n. 245 di Cristianità

Jean-Baptiste Hanet (Cléry), Marie-Thérèse-Charlotte di Francia ed Edgeworth de Firmont,
Il prigioniero del Tempio. Detenzione, processo e morte di Luigi XVI,
introduzione, traduzione e note di Enrica Lucchini,
prefazione di Francesco Perfetti,
Bonacci, Roma 1993, pp. 218, £ 30.000

Sono relativamente pochi i libri di documentazione storica che riescono anche ad appassionare il lettore: Il prigioniero del Tempio. Detenzione, processo e morte di Luigi XVI è certamente uno di questi.

Il volume è costituito dai diari delle tre persone che sono state più vicine al re di Francia, durante la sua prigionia nella Torre del Tempio di Parigi nei mesi precedenti la sua morte, avvenuta per ordine della Convenzione Nazionale la mattina del 21 gennaio 1793. I tre documenti sono preceduti da una Prefazione (pp. 7-10) di Francesco Perfetti, ordinario di Storia contemporanea alla LUISS, la Libera Università Internazionale degli Studi Sociali, di Roma, e direttore della collanain cui compare l’opera; seguono quindi un’utilissima Introduzione (pp. 11-52) e una Nota ai testi (pp. 53-55) della studiosa genovese Enrica Lucchini, che ha curato anche la traduzione annotata; il volume si chiude con un prezioso Indice dei nomi (pp. 203-207).

Il primo diario, Giornale di ciò che avvenne alla torre del tempio durante la prigionia di Luigi XVI re di Francia (pp. 57-146), è stato scritto da Jean-Baptiste Hanet detto Cléry, servitore della famiglia reale dal 1782, ed è la testimonianza più completa della prigionia di Luigi XVI. Il periodo descritto va dal 10 agosto 1792, epoca in cui Cléry era al servizio del delfino di Francia, fino alla mattina del 21 gennaio 1793, quando Luigi XVI verrà assassinato nella ex Place Louis XV, ribattezzata Place de la Révolution. Esso comincia con la descrizione dello spaventoso assalto al Palazzo delle Tuileries — dove viveva la famiglia reale — avvenuto il 10 agosto da parte dei rivoluzionari mentre la famiglia reale si trovava all’Assemblea Nazionale, durante il quale si verifica il massacro di molti svizzeri e di soldati della Guardia Nazionale che difendevano il Palazzo, di cui Cléry è testimone. Quindi, dal 13 agosto, Cléry descrive la vita del re e della sua famiglia al Tempio, dove nel frattempo erano stati condotti come prigionieri.

Il secondo diario, Racconto degli avvenimenti accaduti al tempio dal 13 agosto 1792 (pp. 147-186), è stato scritto dalla figlia primogenita di Luigi XVI, Marie-Thérèse-Charlotte di Francia. Esso aggiunge alla ricostruzione di Cléry gli avvenimenti successivi all’uccisione del re, in particolare l’assassinio della regina, Maria Antonietta Giovanna Giuseppina di Lorena, anch’ella ghigliottinata otto mesi dopo suo marito, il 16 ottobre 1793, all’età di trentasette anni e undici mesi. Come il re, anche Maria Antonietta muore abbandonandosi alla volontà di Dio, dopo aver ascoltato con grande dignità la sentenza che la condannava a morte e dopo aver "[...] rifiutato con dolcezza" (p. 176) i conforti religiosi di un prete "giurato", cioè di uno dei sacerdoti che avevano giurato appunto fedeltà allo Stato sorto con la Rivoluzione; riuscirà tuttavia, il giorno precedente l’esecuzione, a ricevere "l’assoluzione o la benedizione" (p. 177) dal curato di Santa Margherita, imprigionato in una cella davanti alla sua. La figlia del re sarà anche testimone dell’esecuzione della sorella di Luigi XVI, una giovane donna consacrata a Dio fin dall’età di quindici anni, Marie-Philippine-Elisabeth-Hélène, uccisa il 10 maggio 1794, sempre sulla ghigliottina, colpevole di non aver mai voluto abbandonare il re e la regina.

Il terzo diario, Le ultime ore di Luigi XVI re di Francia scritte dal suo confessore (pp. 187-202), è opera dell’abate Edgeworth de Firmont e riguarda il tempo immediatamente precedente l’esecuzione attraverso la testimonianza di questo coraggioso sacerdote che raccolse l’ultima confessione del monarca e celebrò la santa Messa nella camera di Luigi XVI poche ore prima del tragico epilogo.

L’opera permette al lettore di cogliere la portata di uno degli episodi più drammatici ed emblematici della storia della Rivoluzione dell’Ottantanove. Come nota Enrica Lucchini, la stampa rivoluzionaria interpretava la morte del re come "un atto sacrificale" (p. 38) per lavare la nazione dai peccati della monarchia. Il sangue di Luigi XVI e il suo nobile comportamento sul palco della ghigliottina — dove riuscirà a rivolgersi ancora una volta ai francesi affermando: "Muoio innocente di tutti i crimini che mi sono imputati. Perdono i responsabili della mia morte e prego Dio che il sangue che state per versare non ricada mai sulla Francia" (p. 202) — producono un effetto contrario alle aspettative della Convenzione Nazionale, e i brandelli dei vestiti del re diventano come reliquie investite di poteri benefici per i testimoni dell’assassinio, che si spartiscono le sue vesti mentre qualcuno arriva addirittura a immergere il braccio nel sangue del monarca per aspergere i presenti con un gesto quasi benedicente.

Dai tre diari emergono anche la straordinaria umanità di Luigi XVI — capace di vincere ogni rancore anche verso i comportamenti più infami —, il suo equilibrio — che rimane intatto anche in un frangente così carico di tensione — e, soprattutto, la sua profonda religiosità, che accompagna ininterrottamente i giorni della prigionia, nonché le gravi lacune dell’educazione che gli era stata impartita.

Il suo testamento (pp. 124-127) è un grande esempio di fedeltà alla Chiesa cattolica e a tutti i suoi insegnamenti, e lascia soltanto trasparire il rammarico per la debolezza manifestata in occasione dell’approvazione che il re diede alla Costituzione civile del clero; queste sono le parole di Luigi XVI: "Non potendomi servire del ministero di un prete cattolico, prego Dio di ricevere la confessione a lui fatta e soprattutto il pentimento profondo per aver legato il mio nome (benché contro la mia volontà) ad alcuni atti che potevano essere contrari all’insegnamento e alla fede della Chiesa cattolica, alla quale sono stato sempre sinceramente fedele con il cuore" (p. 125). Il tema della debolezza nell’esercizio della funzione reale ritorna nelle parole con le quali, sempre nel testamento, si congeda dal figlio, ricordandogli che il monarca "[...] può fare la felicità del popolo solo regnando secondo le leggi, ma nello stesso tempo un re non può farle rispettare e fare il bene che desidera se non esercitando l’autorità necessaria, perché altrimenti, non essendo libero nelle proprie azioni e non ispirando alcun rispetto, è più nocivo che utile" (p. 126).

Il prigioniero del Tempio. Detenzione, processo e morte di Luigi XVI permette, grazie al prezioso lavoro redazionale di Enrica Lucchini, di accostare in modo serio, documentato, senza per questo diventare inaccessibile al lettore comune, la figura di re Luigi XVI che, come scrive Francesco Perfetti, "quale che sia [...] il giudizio storico che può essere formulato sulla figura dello sfortunato sovrano, [...] dimostrò un coraggio e una dignità fuori del comune che gli derivavano dal sentimento di una regalità profondamente vissuta e di una religiosità intensa e partecipata" (p. 10).

Marco Invernizzi