Si è spenta la luce del Medievo

""Medioevo" si dovrebbe sempre scrivere tra virgolette": così afferma Régine Pernoud nella prima nota al capitolo primo al suo Pour en finir avec le Moyen Age, del 1977. Tutta la carriera della grande storica scomparsa mercoledì a Parigi alla veneranda età di 89 anni è stata dedicata, infatti, a smantellare con acribia scientifica, gusto per la verità, passione storica e attenzione per i documenti la "leggenda nera" sulla cosiddetta "età di mezzo".

Nata nel 1909 a Ch­ teau-Chinon nella Nièvre — un paesino gustosissimo di "Francia, la dolce" come (ricordava la grande storica) usavano dire i compagni d’arme di Carlo Magno volgendosi verso di essa nel momento della morte —, conseguì il dottorato in lettere con una tesi sul porto di Marsiglia nel secolo XIII (città dove ella trascorse parte dell’infanzia), dopo aver studiato ad Aix-en-Provence nonché all’Ècole des Chartes e all’Ècole du Louvre di Parigi. Dopo aver lavorato al Museo di Reims, venne nominata conservatore degli Archives Nationales di Parigi e lì, in questa veste, riorganizzò il Museo della Storia di Francia. A Orléans fondò e diresse per anni il Centre Jeanne d’Arc; qui, la storica scomparsa avviò una lunga e puntigliosa opera di studio sulla "santa pulzella", tanto da divenire una delle sue più importanti biografe.

Esperta di storia provenzale — e, in particolare, appunto di Marsiglia, città della quale ha curato l’edizione critica degli statuti municipali del Duecento —, la Pernoud si dedicò dunque allo studio del commercio marsigliese, mostrando attenzione anche per i fenomeni economici e una dote non comune per la ricerca d’archivio.

Complessivamente le sue opere sono numerosissime e moltissime sono anche le traduzioni in lingua italiana. Caso per certi versi strano per una studiosa non prona agli stereotipi illuministico-progressisti tanto di moda, il nome della Pernoud è legato a una vasta produzione scientifica, ma al contempo — come dicono appunto i francesi — di alta divulgazione. I suoi volumi — a costo di ricalcare un luogo comune fin troppo usato — si leggono davvero come opere di narrativa, un fattore che ha certo contribuito a decretare il successo di una studiosa accademica che (lo si è visto più di una volta anche in Italia) sapeva raccogliere attorno a sé — per esempio in occasione di conferenza pubbliche su questo o quell’aspetto del Medio Evo —, folle di persone, soprattutto giovani, spesso non specialisti.

La Pernoud è insomma riuscita a raccontare la storia come una realtà viva, liberandola da certi accademismi seriosi e finto-sobri che mascherano con il grigiore pseudo-scientifico la totale assenza di ragioni e di motivazioni, dunque di gusto per lo studio. La specialista francese ha saputo raccontare una civiltà: quella colossale, grandiosa e imperfetta come lo sono le cose umane ma affascinante quanto ricchissima della Cristianità romano-germanica, che solo con i proto-illuministi e con la libellistica protestante, poi con la stagione dei philosophe e dei sofisti moderni, abbiamo imparato a chiamare sprezzantemente (sempre, anche quando non ce ne rendiamo conto) "Medio Evo". Cioè, stagione oscura, barbara e degna di oblio, che "per sbaglio" si è frapposta fra i lumi dell’antichità pagana e le nuove luci del Rinascimento manieristicamente neo-pagano.

Detto questo, la straordinarietà della Pernoud emerge in modo ancora più netto e autorevole se si pone mente al fatto che la grande storica non era cattolica. Per molti è — o è stata — una sorpresa, ma l’apologeta dell’epoca delle cattedrali; la grande ammiratrice di santa Giovanna d’Arco, della Vergine Maria e dei santi medioevali; l’innamorata (con il cuore e con la ragione) dei fasti di una civiltà autenticamente a misura d’uomo e (per quanto è stato umanamente possibile) secondo il piano di Dio, non era una scribacchina di parte. Régine Pernoud era protestante, per la precisione ugonotta; ovvero apparteneva a qui calvinisti francesi che pure diedero un sovrano al trono ornato dai bianchi fiori del giglio, quell’Enrico IV famoso per la sua conversione al cattolicesimo.

L’amore, la precisione, la difesa se si vuole, che la storica scomparsa ha fatto del Medio Evo è stata, dunque, dettata semplicemente da adesione al vero, alla realtà, ai fatti. Anche da questo punto di vista, la Pernoud avrebbe dunque molto da insegnare a certi suoi colleghi e a certi loro lettori.

Ricordare tutte le opere e tutti i vertici raggiunti dai suoi studi comporterebbe spazio ben maggiore di quello concessomi. Qualche cenno però lo si può fare, partendo da quell’opera prima uscita nel 1944, che sin dal titolo — citato ad anni di distanza quasi come un proverbio — sembra annunciare un intero programma culturale: Luce del Medievo, pubblicato in italiano da Volpe nel 1978 con una prefazione di Marco Tangheroni. A quest’opera si affianca subito idealmente il testo che può esser considerato un po’ come la sua continuazione, ovvero quel Medioevo. Un secolare pregiudizio (Bompiani, Milano 1983) che traduce il titolo citato in apertura.

Da non scordare sono anche La poésie médiévale française, del 1947; Les villes marchandes aux XIVème et Xvème siècles. Imperialisme et capitalisme au Moyen Age, del 1948; Histoire du commerce de Marseille, del 1949; e i due volumi della Storia della borghesia in Francia. Dalle origini all’inizio dell’età moderna, usciti in patria fra 1960 e 1962, e tradotti dalla milanese Jaca Book nel 1986.

Anche le crociate — oggetto di una "leggenda nera" tutta propria — hanno attratto l’interesse della studiosa, dando vita a opere come Les Croisés, del 1959; Les Croisades, del 1960; e Les hommes de la croisade, del 1979. La Pernoud si è quindi cimentata anche con i Poveri Cavalieri del Tempio, a cui diede la regola san Bernardo di Chiaravalle, pubblicando I Templari nel 1974 (trad. it. Effedieffe, Milano 1993). In questo settore, l’opera della storica scomparsa si affianca a quella di altri specialisti — uno per tutti: Alain Demurger — nel ridare dignità a un ordine monastico-cavalleresco bistrattato da false leggende massonico-esoteriche e da calunnie di sapore illuministico, tali spesso anche ante litteram.

Del 1957 è Les gaulois, dedicato alla civiltà dei galli; del 1969 L’histoire racontée à mes neveux; e del 1971 Beauté du Moyen Age. In Italia, invece, Jaca Book ha pubblicato degli ottimi albi per ragazzi che narrano le vicende di Re Artù e della Tavola Rotonda, e che si avvalgono di testi preparati dalla Pernoud per accompagnare accattivanti tavole a colori.

Il volume La Vergine e i Santi nel Medioevo, del 1984 (trad. it. Piemme, Casale Monferrato [Alessandria], già edito nel 1986 da Rusconi con il titolo I santi nel Medioevo), spicca per bellezza e sapidità fra le opere più recenti della grande medioevalista. Il viaggio attraverso il mondo della santità che ella percorre in questo testo prende il via dalla considerazione complessiva di una civiltà che ha saputo rendere sacro e benedire lo spazio e il tempo che a essa è stato dato di occupare. La "società dei santi" (come la chiama la Pernoud) altro non è che quella comunità capace di prendere seriamente e di vivere conseguentemente la fede cristiana in ogni contesto: dai campi alla bottega; nel matrimonio, nella vita consacrata o in quella militare. Accanto alle summae e ai colossali edifici di culto, la stagione di re-santi, capaci di un’auctoritas che veramente onorasse il significato profondo di quel termine, ha costituito, secondo la medioevalista, il vertice della società cristiana romano-germanica.

La donna al tempo delle cattedrali. Civiltà e cultura femminile nel Medioevo, del 1982 (Rizzoli, Milano 1986), Eleonora d’Aquitania del 1966 (trad. it. Jaca Book 1983), le diverse opere dedicate a santa Giovanna d’Arco e Bianca di Castiglia. Una storia di buongoverno (ECIG, Genova 1984) hanno contribuito in modo sommo a sfatare il falso mito della condizione della donna nell’epoca medioevale. Secondo quanto affermano "illuminati" d’ogni tipo, infatti, la donna medioevale sarebbe rimasta — vessata e maltrattata — ai bordi della società, priva d’ "autocoscienza", d’ "autodeterminazione", di "diritti" e d’ "emancipazione". Ma la storica scomparsa ha mostrato come sia vero semmai esattamente il contrario, descrivendo l’organicità di una società fondata essenzialmente sulla famiglia.

Per valutare appieno la profondità e le implicazioni degli studi della Pernoud ci vorranno decenni. Con lei scompare sul serio un pezzo di Novecento, senza alcuna retorica.

Ricordandola qualche anno fa mentre un amico editore milanese le offre la "conchiglia del pellegrino" cara a chi ha percorso il Cammino di San Giacomo al motto di ultreya! fino al santuario spagnolo di Compostella, conchiglia che la grande studiosa subito si è appesa al collo, mi coglie un ultimo pensiero. Per domandarmi queste considerazioni che ho raffazzonato in qualche modo, il direttore del Secolo d’Italia mi raggiunge telefonicamente a Milano mentre pranzo con E. Christian Kopff, grecista e filologo dell’Università del Colorado a Boulder. Kopff è luterano e mi sta parlando di san Tommaso d’Aquino, dicendo che fuori dalla Chiesa non c’è salvezza… La notizia della scomparsa della Pernoud lo sorprende non poco. Ha con sé una fotocopia dell’intervista rilasciata, al combattivo settimanle cattolico americano The Wanderer, da Thomas J. Fleming, classicista e commentatore politico statunitense, allorché si convertì dall’anglicaneimo al cattolicesimo nel giorno di Pasqua del 1996. Régine Pernoud era ugonotta, innamorata di quella civiltà medioevale che certo è stata un frutto significativo della comprensione cattolica dell’esistenza. L’uomo è davvero un grande mistero. Più grande lo però è quello del Padre celeste — nella Sua immensa comprensione e bontà. Questi pensieri, anche in forma di preghiera, accompagnino Régine Pernoud.

Marco Respinti

mimir@iol.it

 

[Articolo pubblicato con il titolo Si è spenta la luce del Medievo,

in © Secolo d’Italia, anno XLVII, n. 95, del 24-4-1998, pp. 1 e 14.

Sono state apportate alcune correzioni]