LA QUESTIONE ROMANA

Il 20 settembre 1870, intorno alle dieci del mattino, i cannoni dell’artiglieria italiana cessano di tuonare contro le mura di Roma e i bersaglieri del nuovo Regno d’Italia si lanciano all’assalto di Porta Pia, contrastati ancora dal fuoco di fucileria degli ultimi difensori del Papa.

Il conflitto tra la Chiesa cattolica e la Rivoluzione italiana viene così "risolto", da parte del governo sabaudo, con una breccia che calpesta i diritti della Santa Sede: inizia la Questione Romana, la storia cioè dei tentativi messi in atto dal governo italiano per ricucire una ferita che, da un punto di vista istituzionale, si rimarginerà con i Patti Lateranensi del 1929.

In realtà, anche se soltanto dopo Porta Pia si comincia a parlare di Questione Romana in senso proprio, il 1870 è il punto di arrivo di un decennio, nel corso del quale la classe dirigente italiana aveva cercato di ostacolare la missione della Chiesa, erodendone a poco a poco la base territoriale.

Il libro di Renato Cirelli, La Questione Romana. Il compimento dell’unificazione che ha diviso l’Italia, analizza questa prima fase della Questione Romana che inizia il 26 marzo 1860, quando Pio IX, con il breve Cum Catholica Ecclesia, scomunica i governanti italiani responsabili dell’annessione delle Legazioni Pontificie.

La consapevolezza del Pontefice di avere a che fare con "(...) un progetto filosofico, etico, religioso e solo successivamente politico radicalmente nemico del cattolicesimo" - sottolinea Cirelli - viene suffragata dal fatto che la classe dirigente del nuovo Regno d’Italia, "(...) è anche formata da uomini che aderiscono alle correnti del razionalismo, spesso massoni, non di rado con radici gianseniste".

Tuttavia, il potere liberale, consapevole della difficoltà di governare un Paese cattolico, si vede costretto a considerare aperture verso la Chiesa, che si concretizzano, tra la fine del 1860 e il settembre del 1868, in cinque tentativi di mediazione portati avanti da illustri personaggi del mondo politico e intellettuale italiano.

Ma la scarsa convinzione di concludere da parte del governo italiano e le pressioni degli ambienti anti-clericali, determinano il fallimento degli approcci di conciliazione. Anche la Convenzione di Parigi del 15 settembre 1864, tra il governo italiano e l’Impero francese, che prevede l’abbandono di Roma da parte delle truppe francesi, la formazione di un esercito di volontari al servizio de Papa, e l’impegno italiano nella protezione dello Stato della Chiesa, non soddisfa nessuno: "L’Italia sottoscrive con riserva mentale poiché nessun esponente politico italiano si pone il problema di rinunciare a Roma (...). Napoleone III accetta la Convenzione con spirito machiavellico, nell’intento di sottrarsi a una situazione imbarazzante (...)"; Pio IX, "tenuto all’oscuro delle trattative, viene messo davanti al fatto compiuto e rifiuta di prenderlo in considerazione sentendosi tradito e abbandonato".

Le truppe francesi lasciano Roma nell’agosto del 1870, in seguito allo scoppio della guerra franco-prussiana: l’esercito pontificio, che il 13 novembre del 1867 aveva sconfitto a Mentana i volontari garibaldini fuggiti davanti a ventimila francesi sbarcati a Civitavecchia, si prepara adesso da solo a difendere per l’ultima volta la città del Papa.

I diciotto brevi capitoli di Renato Cirelli - introdotti da Marco Invernizzi, preceduti da un quadro cronologico degli avvenimenti, completati da tre appendici che riportano i principali documenti relativi alla vicenda e da un’utilissima bibliografia - vogliono essere una semplice guida introduttiva a un problema complesso, la cui conoscenza è però indispensabile per chiunque desideri capire i nodi fondamentali della storia d’Italia e darne un giudizio sereno, al di là di certe interpretazioni ideologiche ormai di maniera.

Giuseppe Bonvegna

Recensione uscita sul n. 2 di Percorsi del gennaio 1998

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