"Panorama" confuso

 

A pagina 115, il numero di Panorama ora in edicola (anno XXXVII, n. 3 [1710], del 21-1-1999) pubblica un breve ritratto di Roger Scruton, ovvero uno dei principali filosofi conservatori britannici e, dopo la scomparsa di Michael Oakeshott (1901-1990), forse davvero il più grande. Firmato da Claudio Serra, il pezzo s’intitola un po’ riduttivamente L’uomo che sussurrava alla Thatcher.

In Italia è uscito solamente Guida filosofica per tipi intelligenti (Cortina, Milano 1988), ma in patria Scruton ha firmato opere già considerate veri e propri classici del conservatorismo. Al profilo offerto da Serra — e in cui Scruton, descrivendosi come un agnostico cantore della "necessità di Dio", utilizza toni per nulla inconsueti nella Destra culturale britannica che, rispetto a quella statunitense, è molto più "laica" — vale la pena di aggiungere che il filosofo è il direttore del pregevole trimestrale The Salisbury Review — secondo il "padre" del conservatorismo nordamericano Russell Kirk (1918-1994), la miglior pubblicazione antiprogressista del Regno Unito —, nonché della casa editrice londinese Claridge Press. Per i tipi di questa etichetta sono uscite opere, oltre che dello stesso Scruton, di nomi di tutto rispetto quali Alain Besançon (in traduzione), Paul E. Gottfried e Brian R. Crozier. Entrambe le iniziative editoriali vivono peraltro grazie all’indefessa opera di Merrie Cave, principale "spalla" del filosofo britannico e, in Italia, collaboratrice di Percorsi di politica, cultura, economia, il mensile diretto da Gennaro Malgieri che sin dai suoi esordi ha seguito con interesse anche gl’itinerari scrutoniani.

A pagina 20 dello stesso numero, Panorama torna su tematiche anglosassoni segnalando brevemente la nascita di Blue Line, il notiziario in lingua inglese che Azione Giovani ha progettato e realizzato per il Web allo scopo d’incrementare i rapporti con i partner conservatori di mezza Europa (e di mezzo mondo), soprattutto dopo l’ingresso dell’organizzazione giovanile di Alleanza Nazionale nella realtà composita degli European Young Conservatives. (Blue Line è reperibile all’indirizzo http://www.geocities.com/CapitolHill/Senate/2090/BlueLine/index.htm, ovvero http://i.am/blueline).

Dopo un inizio sarcastico — "L’antica avversione della destra italiana per il mondo anglosassone (riflesso di mussoliniana memoria) è ufficialmente defunta", viene scritto in una notarella intitolata E An riabilita on line la perfida Albione —, Panorama segnala "esempi di inglese maccheronico" in Blue Line, ma poi a propria volta inciampa laddove afferma che "per entrare [nel giornale informatico] bisogna cliccare su una bandiera inglese". Correzione fraterna al collega disattento che richiama i traduttori di Blue Line a una lingua più "shakespeariana": quella su cui si clicca per accedere al periodico è la bandiera britannica, non quella inglese. Cioè la Unione Jack. E la differenza non è secondaria.

Ora, è vero che alle nostre latitudini (nel Regno Unito accade solo raramente) vige la pessima abitudine di scrivere "inglese" per intendere "britannico" e che spessissimo british viene disinvoltamente tradotto con english. Ma i due termini non sono affatto sinonimi. Torniamo però alle bandiere. La Union Jack britannica è una composizione fra il vessillo nazionale scozzese, che in lingua inglese viene indicato con il termine araldico saltire (la bianca Croce di sant’Andrea in campo blu); quello inglese (la rossa Croce di san Giorgio); e un saltire rosso che, detto "Croce di san Patrizio", simboleggia l’Irlanda.

Il primo uso delle croci di sant’Andrea e di san Giorgio unite in bandiera nazionale risale a un proclama del 12 aprile 1606. Sedeva sul trono uno scozzese: re Giacomo Stuart (1603-1625), sesto sovrano di Scozia con quel nome e primo d’Inghilterra. Dato che all’inizio quel vessillo venne utilizzato pressoché esclusivamente dalle flotte, il suo nome fu più tardi popolarmente "codificato" in Union Jack (jack significa "pennone di naviglio" e "bandiera marinara"). Quella che nel XVII secolo era conosciuta come "bandiera britannica", divenne la bandiera nazionale di Gran Bretagna nel 1707 quando Scozia e Inghilterra si unirono formalmente. Il 1 gennaio 1801, a seguito dell’unione fra i Parlamenti irlandese e britannico, cioè alla nascita del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda, al vessillo nazionale venne aggiunta anche la cosiddetta rossa "Croce di san Patrizio", che in realtà è un emblema mutuato dal blasone dei Fitzgerald. La bandiera britannica — la Union Jack del Regno Unito — è dunque l’insieme delle croci a "x" di sant’Andrea (Scozia) e "di san Patrizio" (Irlanda), più quella di san Giorgio (Inghilterra). Gli appellativi ricordano i santi patroni dei vari paesi e lo sfondo è quello blu dell’orginale saltire scozzese.

1Gli abitanti di Highlands, Lowlands e Border — lo ricorda Paul Harris, curatore di Story of Scotland’s Flag (Lang Syne, Glasgow 1992) — già polemizzano per il fatto che nella bandiera britannica sia la croce inglese di san Giorgio a sormontare le altre; ma esagerare la già forte anglicizzazione delle isole britanniche (nel corso del Congresso annuale dello Scottish National Party del settembre 1989 a Dunoon, George Rosie ha parlato di The Englishing of Scotland) è fuorviante. Anche se si tratta solo di una svista linguistica di chi desiderava correggere certo inglese maccheronico.

 

Marco Respinti

 

[Versione originale e completa dell’articolo pubblicato con il medesimo titolo

in © Secolo d’Italia. Quotidiano di Alleanza Nazionale, anno XLVIII, n. 20, del 24-1-1999, p. 8]