Homecoming

 

"Incredible news! Read on!". Qualche ignoto "internettiano" lancia la notizia sui canali virtuali del Web, introducendola con quest’esclamazione di meraviglia e di gioia. Il tam-tam della posta elettronica distribuisce a pioggia un articolo scritto da Mede Nix per lo Star-Telegram di Dallas, Texas. Il pony express della rete informatica, cavalcando i veloci cavi della telefonia mondiale ed effettuando il rapido "cambio" di destriero alle stazioni di posta che lo attendono ai nodi dei provider, corre come il fulmine. È un corriere del Lontano West, Paul Revere al galoppo in direzione di Lexington, Fidippide che da Maratona raggiunge Atene, il pelide Achille piè veloce dei giorni nostri che batte le agenzie stampa. Quando il giorno dopo se ne legge sul giornale, la notizia ha già fatto il giro del mondo, carica della consueta sfilza d’indirizzi elettronici che accompagna tutti i "forwarded message". L’emozione è forte, è già stata forte: la carta stampata ne è la conferma definitiva. Migliaia di amici che non vedremo mai in volto sembrano darsi virtualmente di gomito via internet.

Norma McCorvey — ora lo sappiamo tutti — si è convertita al cattolicesimo.

Venticinque anni fa si chiamava "Jane Roe": con questo nome la texana di Dallas è passata alla storia per essere stata parte querelante in un famoso caso giudiziario finito davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti d’America che, il 22 gennaio 1973, chiudeva il contenzioso a favore della donna. Con quella sentenza si affermava che la scelta di una madre di portare a termine o meno una gravidanza rientra a pieno titolo nel diritto alla privacy dei cittadini statunitensi, tutelato dal XIV Emendamento alla Costituzione. L’aborto, cioè, veniva reso legale in tutti gli Stati Uniti attraverso una decisione che nelle pieghe del testo costituzionale scopriva un "diritto" tale da autorizzare impunemente la soppressione di una vita umana nascente. Ovvero — stante l’inesistenza di quel "diritto" nel testo della legge fondamentale del paese, stabilita a Filadelfia il 25 giugno 1788 ed entrata in vigore l’anno seguente; nei primi Dieci Emendamenti (Bill of Rights) aggiunti a essa il 3 novembre 1791; e nei successivi sedici, varati in occasioni diverse fra 1798 e 1971 —, si approva l'aborto attraverso l’azione positiva di un soggetto che, invece di svolgere il proprio dovere statutario di organo di verifica della produzione legislativa del Congresso, si arrogava la facoltà di sostituirsi al legislatore e dunque stravolgeva le regole della convivenza civile del paese, raccolte in quella che orgogliosamente i suoi cittadini descrivono come la Costituzione scritta invariata più antica del mondo.

Mi concedo un inciso. Il XIV Emendamento viene invocato sia dagli abortisti che dai sostenitori dell’eutanasia: dal famigerato medico del Michigan Jack "Dr. Death" Kevorkian — dentro e fuori la galera — ai cittadini dell’Oregon che nell’autunno 1994 hanno votato a favore del referendum sulla "buona morte", per giungere fino alle decisioni delle varie aule giudicanti (alcune peraltro recentissime) nella scia di quanto fatto nella primavera 1996 dal tribunale di San Francisco, California, e poco dopo dalla Corte d’appello di New York. Dato che in quell’emendamento viene sostenuta l’uguaglianza fra tutti i cittadini statunitensi, gli abortisti e gli eutanasisti ritengono di leggervi un diritto alla parità di trattamento fra fruitori e oppositori dell’ "interruzione volontaria della gravidanza" e del "suicido assistito", nonché appunto quel particolare concetto di privacy che un quarto di secolo fa ha permesso alla Corte Suprema di legalizzare l’aborto.

Questo con buona pace di certi azzeccagarbugli, quali i "sedevacantisti" sedicenti "tradizionalisti" del periodico Sodalitium, che lodano quell'articolo di legge come garante della libertà di culto dei cattolici: e dove e da quando? Peraltro, l’estensione del diritto di voto alla popolazione di colore (XV Emendamento, 1870), che segue l’introduzione nel paese di concetti di "parità" e di privacy tali da tollerare l’omicidio legalizzato, ha un crudele corollario all’insegna della più clamorosa eterogenesi dei fini: come ha denunciato il giudice della Corte Suprema Thurgood Marshall, proferendo il proprio dissenso nella sentenza sul caso Harris v. McRae del 1980, "le donne di colore vengono fatte abortire in numero quasi doppia rispetto alle bianche". Erma Clardy Craven — in Abortion, Poverty & Black Genocide: Gifts to the Poor?, saggio contenuto nel volume a più mani Abortion & Social Justice del 1972 — ricorda che a New York, quanto ad aborti, il rapporto fra donne nere e donne di altri gruppi etnici è di 2.5 "a favore" delle prime. A livello nazionale, poi, le donne bianche subiscono circa metà degli aborti che patiscono le altre. Fra XIV e XV Emendamento, grazie per il diritto di voto esclama qualcuno! Ma, si sa, a lavar le orecchie agli asini si spreca tempo e sapone.

Il XIV Emendamento, comunque, nonostante tutti i suoi abusi, non contiene il diritto di aborto o di eutanasia. Per reagire a chi sosteneva che i liberi discendenti degli schiavi non erano cittadini, dunque solo proprietà e non persone, quell’articolo garantì a tutti il diritto alla vita e alla protezione da parte della legge riecheggiando (ed estendendo alle legislazioni dei singoli Stati dell’Unione) le provvisioni del V Emendamento: è vietato privare le persone di "vita, libertà e proprietà senza una procedura giuridica nella dovuta forma". Al tempo non si parlò dei bimbi non nati solo perché non si era a conoscenza dello sviluppo prenatale del feto, ma il criterio certo era l’esser persona di tutti gli esseri umani. Ergo, per la legge nordamericana, una volta stabilitane l’umanità, il feto è persona: il XIV Emendamento ne deve allora proteggere il diritto alla vita. Nel 1973, invece, contrariamente a quanto fatto dai livelli di giudizio federali a essa inferiori e dalle corti dei singoli Stati (prima della sua legalizzazione federale, l’aborto era consentito solo per salvaguardare la vita della madre e solo in diciannove Stati), la Corte Suprema si asteneva dal giudicare l’umanità del feto, arbitrariamente però sancendone il non esser persona. Mentre il potere giudiziario statunitense si faceva forte di un precedente del 1965 (che parlava di un diritto alla privacy molto particolare: per le madri abortiste sì, per i bimbi non nati no), da qualche parte Ponzio Pilato si sentiva meno solo.

Si è detto che l’aborto americano è legale solo a certe condizioni, ma la formulazione vaga di queste ultime permette di fatto l’interruzione della vita del feto semplicemente su richiesta della madre e sostanzialmente (grazie a numerosi sofismi) in qualsiasi fase della gravidanza; ed ecco allora anche il partial-birth abortion, una sorta d’infanticidio che sopprime un bimbo già parzialmente partorito. "Might is Right": un proverbio inglese di origine medioevale, basato su la Repubblica di Platone e sui Pharsalia di Lucano, denuncia il diritto preda e funzione della forza. "La mentalità relativistica porta al positivismo giuridico, dottrina secondo cui il diritto è solo una questione di potere che non pone limiti morali a quanto la legge può fare": e oggi "il positivismo è la dottrina dominante nel diritto americano". Così afferma — in Fifty Questions on Abortion, Euthanasia and Related Issue — Charles E. Rice, che anima il Cashel Institute dall’Università di Notre Dame nell’Indiana dove insegna Giurisprudenza, che combatte straordinarie battaglie culturali a difesa del diritto naturale e dell’autentico costituzionalismo statunitense, che onora una prestigiosa istituzione molto appannata negli anni del progressismo postconciliare e che dà figli all’ordine dei Legionari di Cristo.

Norma McCorvey si è convertita al cattolicesimo: questo è il punto di partenza. "Dopo molti mesi di preghiera e molte notti agitate, oggi vi do il gioioso annuncio di aver deciso di unirmi alla Chiesa madre del cristianesimo, espressione con cui ovviamente intendo la Chiesa cattolica": il primo annuncio della conversione lo ha dato personalmente lei domenica 15 giugno nella Chiesa della Trinità di Waco, Texas, un luogo di culto protestante. Credevo che certe scene fossero solo da romanzo, tipo l’Innominato e il buon Cardinal Federigo. Invece accadono davvero.

"Ora Waco è come la mia Betlemme", ha aggiunto la McCorvey che già da tempo ha mutato vita convertendosi al cristianesimo protestante. Nel 1995, a Dallas, la battezzò il reverendo Flip Benham direttore di Operation Rescue, la nota e battagliera organizzazione antiabortista con cui la donna ha finito per stringere legami fortissimi (nelle elezioni di medio termine che nel novembre prossimo rinnoveranno parte sostanziale del Congresso statunitense si candiderà Randall Terry, leader dell'organizzazione al cui fianco la McCorvey si è già da tempo schierata pubblicamente). Anni fa, l’ex "Jane Roe" ha fondato anche la "Roe No More Ministries", un consultorio no-profit antiabortista che svolge pure attività di apostolato cristiano. Ora sta completando l'istruzione catechistica sotto la guida del reverendo Edward Robinson, della diocesi di Dallas, in previsione del sacramento della Cresima che ella riceverà prossimamente a Roma.

Non sarà così, ma sarebbe bello se il sacramento le venisse amministrato nell’anniversario dell’infame sentenza della Corte Suprema. Quel 22 gennaio che — comunque anch’esso dies Dei — dopo il 1973 viene ogni anno esorcizzato da un imponente e famoso corteo gestito da "March for Life", l'organizzazione fondata e diretta da Nellie Gray: dal parco dei monumenti storici della capitale federale (il "Mall" dell’obelisco di George Washington, del mausoleo di Thomas Jefferson, del lucido muro nero con i nomi dei caduti in Vietnam e del memento alle vitime della Guerra di Corea) si percorre la Constitution Avenue, si transita nei pressi della Casa Bianca e (la Corte Suprema non è lontanissima) si raggiunge il Campidoglio sede del Congresso (l’organo legislativo del paese), passando per una zona attigua alla Massachusetts Avenue dove sorge una statua di Edmund Burke vero "ispiratore" — contro John Locke — della legge fondamentale del paese.

Norma McCorvey aggiunge che dal 1995 è "cresciuta nella fede. Uno dei momenti più importanti di questo processo è avvenuto durante la preghiera. Ho udito chiaramente il Padre Celeste dirmi che presto sarei stata con Lui. L’ho ascoltato e ho compreso che Dio mi stava in realtà esortando a completare il cammino per approdare alla Sua Chiesa, la Chiesa fondata da Cristo stesso, la madre Chiesa". Nel nostro mondo disincantato queste parole susciteranno l'ilarità di molti e alcuni snob le liquideranno come "retaggio protestante" da invasati carismatico-pentecostali. Pazienza: il riso di solito abbonda non proprio sulle labbra dei savi. E si può anche rincarare la dose: tanto, secondo un buon libro di mons. Alessandro Maggiolini, quello del ridicolo è il martirio cristiano più in voga.

La McCorvey ha un nome straordinario. "Norma", identico significato in italiano, latino, inglese. Ritorno a casa dopo lo smarrimento della notte: la suggestione è di Simone Weil, che a suo tempo ebbe la grazia di vivere, filosofare e pregare con l’alfiere del "ritorno al reale" Gustave Thibon. Lo sono anche queste parole: l’"ordine è il primo dei bisogni".

"Jane Roe" è morta; Norma McCorvey ha iniziato la vera vita.

Marco Respinti

 

[Milano, 25 giugno 1998. Articolo non pubblicato su stampa cartacea. © dell'autore]