Articolo apparso su un quotidiano italiano

San Domenico visto dai suoi contemporanei

A cura di p. Pietro Lippini O.P., Edizioni Studi Domenicano, Bologna, 1998, pp. 568, Lit. 50.000

"La Cristianità occidentale è salva, non soltanto dagli oscuri fanatici (ossia i catari, un movimento medievale pre-comunista), il cui barbaro zelo condannava, col matrimonio, la vita stessa, ma dall’Islam, dallo scisma greco e dai furori di Federico II". Con queste parole Georges Bernanos riassume gli esiti "politici" dell’opera svolta da san Domenico, fondatore dell’ordine religioso che da lui prende nome. Tuttavia, la conoscenza della vita e dell’azione di quest’uomo minuto, nato attorno al 1171 a Caleruega, in Spagna, non è mai stata molto diffusa se confrontata, ad esempio, con quella del suo contemporaneo san Francesco d’Assisi.

Tra le ragioni di quest’ignoranza, oltre al carattere "dotto" e conseguentemente elitario con cui ha voluto segnare i suoi "figli" spirituali, va certamente annoverato il fatto che – sempre in parallelo a san Francesco – i corrispondenti Fioretti di san Domenico, che si chiamano Vitae Fratrum, si estendono per quasi cinquecento pagine e sono rimasti disponibili per secoli solo in lingua latina.

Per colmare queste lacune, le Edizioni Studio Domenicano di Bologna hanno dato alle stampe il volume San Domenico visto dai suoi contemporanei (ESD, Via dell’Osservanza 27 - Bologna, 1998, pp. 568, Lit. 50.000), attentamente curato e annotato dall’infaticabile padre Pietro Lippini O.P., che raccoglie la traduzione in italiano di molti documenti dell’epoca e, in particolare, le biografie del Pater Praedicatorum scritte immediatamente dopo la sua morte. Arricchiscono il volume le antiche "Costituzioni" dei predicatori, uno dei documenti fondamentali per chiunque voglia accostarsi alle radici e alla cultura dell’Occidente, mai edite in italiano prima d’ora.

Se è vero che l’ignoranza religiosa fu una delle cause del diffondersi anche dell’eresia catara, l’originalissima prescrizione di san Domenico ai suoi frati - perché si dedicassero "allo studio in maniera tale che, di giorno o di notte, in casa o per strada leggano o meditino sempre qualcosa" -, non è tuttavia giustificabile solo attraverso le contingenze storiche. Infatti, paragonando l’atteggiamento di san Domenico verso lo studio e la contemplazione, col moderno primato del cambiamento fine a se stesso, della "prassi" anche marxista, esso assume il significato di una sostanziale sottomissione al reale, permanentemente contrapposta alla categoria di "utopia", tipica dei sovversivi di ogni epoca.

Queste pagine, scritte otto secoli fa e riproposteci oggi dai domenicani, hanno pertanto un significato che, pur comprendendolo, forse trascende quello devozionale: per salvarsi dall’inselvatichimento e dalla barbarie, l’umanità avrà sempre bisogno dell’"uomo che studia"; un uomo che - per tornare a Bernanos -, "sdegna gli errori parassiti e si porta di slancio al centro stesso del ragionamento nemico. In modo simile noi vediamo Domenico, come un capo in guerra, cercare di venire a contatto con l’avversario non per saggiarlo, ma per batterlo".

David Botti