Emergenza criminalità:
soltanto la Destra può fronteggiarla

  La criminalità impazza e la gente protesta ad alta voce. Qualcuno — a volte esagerando, afferma il vicesindaco Riccardo de Corato — parla del capoluogo lombardo come di una Chicago regno incontrastato della "mala". L’altro riferimento agli Stati Uniti che molti quotidiani stilano in questi giorni è quello a Rudolph Giuliani, il sindaco di New York che in pochi anni ha saputo respingere l’assedio delle bande, dei gangster e degli youngster che attanagliano da tempo e quasi proverbialmente la Grande Mela. Dell’esperienza di Giuliani andrebbe però costantemente (dunque non solo episodicamente e di passaggio) ricordata l’identità politica. Repubblicano, il sindaco di New York passa per essere un uomo "di destra". Per molti versi lo è, sia in senso assoluto (rispetto ad alcune questioni specifiche), sia in relazione alla comune dei guru e dei politicanti liberal. Ovvero il disincanto verso gli stereotipi della cultura progressista — fatta di permissivismo contrabbandato per libertà, d’immoralismo pubblico contraffatto in "illuminismo", di lassismo spacciato per tolleranza — produce un realismo anche amministrativo e politico che spesso paga più delle astratte formule della "bella politica" e del buonismo che proprio per intrinseca mancanza d’incisività impediscono di governare.

L’aumento — o forse solo la concentrazione, le cui dinamiche possono pure essere in casi specifici casuali senza che il quadro di fondo ne venga mutato — degli episodi criminosi nelle grandi città italiane, segnatamente quelle dove si concentra l’attività produttiva e la ricchezza economica, o dove convergono (anche per ragioni storiche, culturali e geografiche) interessi vari (regionali, nazionali, europei, internazionali), al di là di ogni altra pur lecita considerazione, evidenziano una diminuzione (per così dire) di sovranità e di controllo fattuali dello Stato rispetto al territorio italiano a vantaggio di anonime criminali configurantisi in associazioni a delinquere di vario tipo, spesso a carattere (in senso lato) mafioso. Il dato costante e in vero più allarmante sembra proprio essere questo, il che spiega la messa in moto di due altri meccanismi diversi e uguali come lo sono le facce di una stessa medaglia, cioè anche reazioni diverse e contrastanti rispetto a una medesima problematica. Da un lato il sussulto della società civile (i negozianti minacciati, i semplici cittadini impauriti, gli amministratori locali scossi e allertati), dall’altro l’intervento delle istituzioni statali tanto tardivo quanto il proverbiale stalliere alle prese con buoi oramai lontani e imprendibili.

Si doveva raggiungere il colmo della misura perché il centro rispondesse ai forti segnali dall’allarme lanciati oramai da mesi dalla "periferia" e mandasse a Milano — settimana scorsa — il Presidente del Consiglio Massimo d’Alema e il Ministro degl’Interni Rosa Russo Jervolino, peraltro a conferire al sindaco … poteri che egli ha già. Solo adesso s’inizia timidamente a mettere in discussione la faciloneria (così si esprime, peraltro "rubando" l’idea al Centrodestra dopo le manifestazioni di piazza dei giorni scorsi, il Ministro della Difesa Carlo Scognamiglio sul Corriere della Sera del 18 gennaio 1999) con cui nel nostro paese trovano asilo — oltre ai molti infelici che sfuggono a condizioni di vita disumane nei propri paesi di origine e che a buon diritto meritano un’accoglienza non retorica, ma all’altezza di una qualità della vita umana che veramente sia degna di questo nome —faccendieri di ogni tipo, "Al Capone" di mezza tacca ma non meno pericolosi degli originali, trafficanti di carne umana, schiavisti, spacciatori di quei paradisi artificiali di cui anche da noi le "forze del progresso" auspicano la depenalizzazione quale "conquista di civiltà", registi di racket e di estorsioni, ras di più o meno interconnesse mafie d’oltremare, fino a terroristi comunisti curdi e dintorni. Il governo di Centrosinistra, il cui testimone è passato da Romano Prodi a Massimo d’Alema senza mutare, anzi semmai accentuando, la propria linea politica di sordità verso le vere esigenze espresse dagl’italiani (espresse oramai a gran voce e sovente con un grido di cui non va esaltato l’estremismo dei toni, ma certamente il diamante sotto la cenere della protesta di una maggioranza un tempo silenziosa di "uomini e donne perbene", e di una società intermedia che paga le tasse e non riesce ad averne in cambio né ascolto, né un minimo di certezza/sicurezza), si mostra sempre più incapace di amministrare l’ordinario, figuriamoci lo straordinario: non a caso esso risponde in ritardo e male alle pressanti richieste di una Milano non di sinistra, cioè non governata dallo statalismo che erode lo Stato e dal giustizialismo che mai rende giustizia.

Da tempo, da anni, gli "addetti ai lavori" giuridici e giudiziari — gli "addetti ai lavori" non proni all’astrattismo retorico e al neoilluiminismo della cultura progressista dominante — parlano di gravi dissesti nell’ordinamento giuridico italiano che, effetto di cause culturali profonde e remote, dipingono addirittura scenari di vera e propria giustizia denegata. Solo non affondando il coltello nella piaga, solo non affrontando la situazione ab initio e in profondità si può giudicare esplosivo ed eccezionale un clima che invece è venuto crescendo negli anni soprattutto perché non contrastato con efficacia e a ragion veduta, dunque con un’adeguata cultura giuridica figlia anche di una precisa cultura politica.

L’apertura a Milano, pochi giorni fa, del nuovo anno giudiziario, in concomitanza con i "nove delitti in nove giorni", può, deve essere un’occasione per riconsiderare completamente e senza retorica il senso del termine "legalità", a partire soprattutto dalle sue basi culturali (l’handicap culturale della Sinistra a fronte di criminalità e giustizia è stato adeguatamente sottolineato su queste stesse pagine anche da Enrico Nistri il 16 gennaio 1999), sociali e politiche. Il resto verrà allora davvero di conseguenza, come — nell’altro senso — sono giunte le tristi conseguenze sociali di una cultura sbagliata in radice di cui, a Milano così come in ogni altro grande centro italiano, pagano il prezzo i cittadini.

 

Marco Respinti

 

[Versione originale e completa dell’articolo pubblicato con il medesimo titolo

in © Secolo d’Italia. Quotidiano di Alleanza Nazionale, anno XLVIII, n. 15, del 19-1-1999, p. 3]